La scelta etica

Se è vero che non ci può essere scienza senza uomini e donne e fuori dalla storia, a maggior ragione non ci può essere una psicologia (che è scienza di e per gli uomini) avulsa dalla loro vita concreta. Una psicologia clinica in senso naturalistico (biotipologica, istintualista, behaviorista, organicista, psicometrica, ecc..) anziché ermeneutica, costruttivista e critico-dialettica, suona come l’affermazione di un essere umano astratto, meccanico, isolato, senza legami con la società e senza responsabilità verso di essa. Cioè l’affermazione di un mondo senza esseri umani.

Scopo di una Psicologia clinica che sia soprattutto scienza umana, è invece l’emancipazione sociale, ovvero la liberazione del soggetto dalla realtà diventata potenza subordinata al calcolo.

Il postulato valoriale di una scienza che sappia essere umanistica è che essa si configuri, a priori, come uno strumento critico contro l’ordine apparente del sapere, cosicché la psicologia possa disporsi verso il suo antico oggetto, finalmente divenuto soggetto, partendo da un interesse gnoseologico di emancipazione.

Fare della teoria scientifica in senso critico, comporta sempre un chiarimento preliminare capace di suggerire il senso ed il perché di una tale attività. Perciò teorizzare in tale modo implica per lo psicologo un atteggiamento critico che, unito a quello conoscitivo, sia in grado di esprimersi a favore e nell’interesse della persona. Persone quindi viste non come astratte portatrici di una natura umana, ma protagoniste di determinate vicende biografiche all’interno di una situazione storica e sociale.

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Il mandato sociale

A me non piace nessun modello clinico, soprattutto psicoterapeutico, che sia direttivo, ossia che abbia nelle sue regole di “setting” un modo di costruire la relazione con la persona gerarchico, autoritario e di potere (fosse anche quello del sapere). Per molto tempo, ho ritenuto che il termine psicoterapia fosse un ossimoro professionale, in quanto “cura” della psiche, che in sostanza è una costruzione sociale e personale di ciò che riteniamo essere la Mente. Attualmente, non ritengo più la pratica della psicoterapia una delle tante antinomie presenti nelle scienze psicologiche, al contrario ritengo che l’unico senso che possa in un certo qual modo avere la psicoterapia, riguardi l’intervento sui processi di alienazione che caratterizzano il nostro tempo, le nostre società e la nostra cultura, interiorizzati in modo assolutamente personale da ciascun individuo ( nessuno escluso). La psicoterapia altro scopo non può avere se non quello di restituire alla persona l’esclusiva proprietà di se stessa. Citando Max Stirner: “Solo quando sono sicuro di me e non vado più in cerca di me stesso, sono veramente mia proprietà: io ho me stesso, per questo faccio uso e godo di me. Io non posso mai rallegrarmi di me, invece, finché penso che devo ancora trovare il mio vero io e che chi vive in me non sono io, ma è […] cioè qualche fantasma. (da L’unico e la sua proprietà)”

Marco Inghilleri

(direttore reponsabile del Centro InterattivaMente)

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