- Articoli di Psicologia clinica
- da interattivamente
- 16 Maggio 2020
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Chi si rivolge allo psicologo clinico?
Chi si rivolge allo psicologo clinico? Le persone che si rivolgono allo psicologo clinico, generalmente, vivono una condizione di disagio, di sofferenza, di difficoltà, incontrata in un dato momento della loro esistenza. Il problema avvertito è qualcosa che mobilita angosce, timori, preoccupazioni rispetto alla capacità/possibilità di conservare una qualità della vita accettabile e, pertanto, riguarda direttamente o indirettamente la salute.
La richiesta di consulenza psicologica
La situazione che ha provocato la richiesta di aiuto è una personalità dysfuction o un living impairment. Queste persone, cioè, hanno l’impressione che sia intervenuto un cambiamento, cui attribuiscono una valenza negativa, in loro stessi e/o nella loro capacità di relazionarsi con il mondo esterno e/o con i problemi quotidiani. La percezione che esse hanno di questo cambiamento è analogo a quello che si può avere con un disturbo o una malattia fisica.
La percezione di malattia
Non sempre la percezione di malattia è corretta. La persona si rivolge a uno psicologo clinico per esporgli i dubbi che l’attanagliano rispetto alla propria condizione o per chiedergli conferma (o disconferma) di un’ (auto)- diagnosi fatta. Non sempre il clinico conferma la diagnosi del paziente. Egli può non concordare rispetto alla gravità del disturbo lamentato, non riconoscere la presenza stessa di un disturbo o individuare la presenza di un disturbo diverso da quello patito. Compito del clinico è valutare se la persona si stia rivolgendo alla figura professionale “giusta”. Non può essere esclusa a priori la necessità dell’invio a un’altra figura professionale o specialistica.
La persona che ho di fronte ha effettivamente bisogno di me?
La persona che ho di fronte ha effettivamente bisogno di uno specialista? Il problema che lamenta è di nostra competenza oppure lo è solo in parte? Si tratta di un disturbo momentaneo, che non richiede nessun tipo di intervento? O, ancora, il disagio è più rapidamente e/o più facilmente risolvibile con l’aiuto di un altro esperto? Queste (e molte altre) sono le prime domande che un clinico si pone durante l’ascolto della persona che gli si è rivolta.
La richiesta di parere che la persona rivolge a un esperto è sempre l’esito di un processo decisionale, che l’ ha portata a individuare la necessità di un consulente specifico al quale affidare il compito di aiutarla a risolvere il problema (e le ansie, le preoccupazioni, i disagi che vi sono connessi).
Compito del clinico
Grado di preoccupazione, ragioni della preoccupazione e percezione di malessere sono variabili soggettive correlate con l’organizzazione della personalità del soggetto. Il clinico deve riconoscere la natura del problema lamentato e valutare la propria idoneità a risolverlo. Deve, cioè, essere convinto che il proprio sia necessario e non produca effetti iatrogeni. Deve, quindi, ritenere, in base ad una valutazione costi/benefici, di poter essere di una qualche utilità nel ridurre la sofferenza del paziente o di poter facilitare la messa in atto di soluzioni più adeguate per affrontare il malessere.