
- Articoli di Psicologia clinica
- da interattivamente
- 12 Novembre 2024
- 0
Il pensiero perverso
Il pensiero perverso
Il pensiero perverso, inteso come tentativo di trasformare un’umiliazione infantile in un trionfo adulto, si configura come una dinamica relazionale disfunzionale e narcisistica che rivela profonde radici psicologiche e sociali. Tale modo di pensare e agire tende a negare le differenze, violare i limiti, alimentare un senso di onnipotenza e rinchiudersi in una dimensione autoreferenziale. In questo contesto, l’altro non è riconosciuto come soggetto autonomo, ma piuttosto come un mezzo per soddisfare una fantasia privata, un’autocelebrazione che lo trasforma in attore passivo di un copione individuale.
Origini psicologiche e dinamiche intrapsichiche
In psicologia, diversi autori hanno esplorato la relazione tra vissuti traumatici infantili e sviluppi patologici della personalità adulta. Freud, nel suo saggio sul narcisismo (1914), ha descritto come l’individuo possa regredire a uno stato di narcisismo primario, in cui il mondo esterno è percepito unicamente in funzione dei propri bisogni. Successivi lavori, come quelli di Otto Kernberg (1975), hanno ampliato questo concetto descrivendo come alcune forme di narcisismo patologico possano emergere da profonde ferite narcisistiche subite durante l’infanzia, spesso sotto forma di umiliazioni o rifiuti. Questi vissuti traumatici, non risolti, generano una vulnerabilità che, invece di essere integrata, si trasforma in un meccanismo difensivo aggressivo: l’individuo cerca di ristabilire un senso di valore personale attraverso il controllo e la manipolazione degli altri, manifestando un’illusione di potere e invulnerabilità.
Negazione delle differenze e violazione dei limiti
Uno dei tratti distintivi del pensiero perverso è la negazione delle differenze: l’altro non è considerato come individuo distinto, con propri desideri e diritti, ma viene piuttosto ridotto a un’estensione del sé, una proiezione attraverso la quale la persona cerca di compensare la propria fragilità interna. Questa negazione si manifesta anche nella violazione dei limiti, poiché per il soggetto perverso non esiste una vera distinzione tra sé e gli altri. Questo comportamento ricorda l’onnipotenza infantile descritta da Winnicott (1971), in cui il bambino vive l’illusione di controllare il mondo esterno e di poter disporre degli altri a piacimento. Tuttavia, mentre nel bambino questa fase è transitoria e necessaria per lo sviluppo, nell’adulto è segno di una regressione patologica.
Onnipotenza e autoreferenzialità
La onnipotenza e l’autoreferenzialità costituiscono la base di questo pensiero patologico. L’individuo perverso si percepisce come unico e inarrivabile, immune da critiche e limiti imposti dalla realtà esterna. Questo comportamento riflette ciò che Heinz Kohut (1971) ha definito come grandiosità narcisistica, in cui l’individuo proietta un’immagine di sé come superiore e inaccessibile. L’altro diventa un semplice oggetto, un “attore” che non ha valore autonomo, se non per confermare e sostenere l’illusione di perfezione e superiorità del soggetto perverso. In questo senso, il pensiero perverso può essere considerato una fantasia onanistica, in cui l’individuo è l’unico regista e protagonista, mentre gli altri esistono soltanto come proiezioni che rispondono ai propri bisogni e desideri.
Conseguenze relazionali e sociali
Questa modalità relazionale, che non ammette limiti e riconoscimento dell’alterità, ha gravi conseguenze sul piano delle relazioni interpersonali. Essa porta a legami fondati sul controllo e la manipolazione, anziché sul rispetto reciproco e la considerazione. Nel contesto sociale, il pensiero perverso può manifestarsi come una forma di abuso di potere, in cui l’altro viene strumentalizzato e sottomesso. Ad esempio, nelle organizzazioni gerarchiche e nelle dinamiche di potere, coloro che incarnano questo modello di pensiero tendono a perpetuare situazioni di sfruttamento, umiliazione e sopraffazione, incapaci di accettare la diversità e l’autonomia dell’altro. Questo fenomeno può essere osservato anche nei sistemi politici e culturali autoritari, dove il dissenso viene punito e l’individualità negata in nome di un ideale collettivo, che in realtà è solo la proiezione delle fantasie di controllo di chi detiene il potere.
Conclusione
Il pensiero perverso è una strategia difensiva che nasce dall’incapacità di affrontare e integrare il trauma dell’umiliazione infantile. L’individuo, anziché accettare la propria vulnerabilità e sviluppare relazioni autentiche, costruisce un mondo chiuso e autoreferenziale, dominato dalla negazione delle differenze e dall’illusione di onnipotenza. Comprendere le radici di questa modalità di pensiero e le sue manifestazioni è essenziale per poter intervenire terapeuticamente e promuovere una crescita psicologica sana, basata sul riconoscimento dell’alterità e sulla costruzione di legami autentici.
Bibliografia
Freud, S. (1914). Introduzione al narcisismo. In Opere di Sigmund Freud.
Kernberg, O. (1975). Borderline Conditions and Pathological Narcissism. New York: Jason Aronson.
Kohut, H. (1971). The Analysis of the Self: A Systematic Approach to the Psychoanalytic Treatment of Narcissistic Personality Disorders. Chicago: University of Chicago Press.
Winnicott, D. W. (1971). Playing and Reality. New York: Basic Books.