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- 7 Maggio 2013
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Il processo di mediazione
Marco Inghilleri
(psicologo – psicoterapeuta)
Il concetto di mediazione si presenta come un fenomeno troppo eterogeneo per poter essere racchiuso in una definizione univoca. Infatti la mediazione, come processo di gestione del conflitto, si riferisce ad ambiti sociali diversi ed è caratterizzata da una molteplicità di oggetti, finalità e tecniche operative. Volendo tuttavia tentare di circoscrivere sotto un’ unica etichetta le svariate realtà di mediazione, possiamo considerarla come un processo, il più delle volte formale, con il quale un terzo neutrale tenta, mediante scambi fra le parti, di permettere a queste ultime di confrontare i loro punti di vista e cercare, con il suo aiuto, una soluzione al conflitto che le oppone. Scopo della mediazione non è una sorta di duplicazione dell’azione giurisdizionale, bensì quello di restituire ai soggetti protagonisti del conflitto il potere e la responsabilità di autodeterminarsi, stabilendo nuove modalità di relazione che favoriscano la ripresa del momento comunicativo fra le parti. Questa procedura, quindi non si pone come alternativa alla giustizia, ne vuole sopperire alle carenze del sistema giudiziario.Essa propone una via, differente dalle altre più conosciute o praticate, di soluzione dei conflitti. Il mediatore assiste le parti in conflitto guidando la loro negoziazione e orientandole verso la ricerca di accordi reciprocamente soddisfacenti. La mediazione, ristabilendo la comunicazione tra le parti in conflitto, ha comunque come scopo quello di promuovere un cambiamento positivo: il raggiungimento di un obiettivo comune, concreto e soprattutto condiviso.
N.B. Il percorso mediativo è utile, dunque, non solo a contenere la conflittualità, ma anche per offrire alle parti un’opportunità di natura psico-pedagogica per determinare nuove e più chiare modalità di gestione della relazione.
N.B. Il mediatore è colui che guida i confliggenti sollecitando la comunicazione e accompagnando le parti verso la condivisione di un progetto che consenta alle persone di trovare le basi per un accordo durevole.
Nell’ambito degli attuali interventi di mediazione possiamo distinguere:
Mediazione sociale: finalizzata a costituire relazioni sociali in contesti dove maggiormente è percepito il declino del concetto di comunità e dei suoi strumenti di regolazione onde gestire situazioni conflittuali e ricostruire valori comuni e punti di riferimento condivisi all’interno della comunità stessa.
Mediazione scolastica: volta ad insegnare agli studenti come gestire i conflitti e le dispute all’interno della scuola, nella convinzione che essi siano parte inevitabile del vivere sociale e delle relazioni fra individui e che la ricerca di strumenti risolutivi delle situazioni di crisi possa considerarsi importante momento di apprendimento al pari delle altre materie di insegnamento
Mediazione culturale e linguistica: tesa ad intervenire in presenza di conflitti tra persone di etnie o culture diverse, spesso originati dalla scarsa conoscenza dei reciproci usi e costumi.
Mediazione nei luoghi di lavoro: è finalizzata a gestire i conflitti che possono sorgere all’interno dei luoghi di lavoro e ricercarne una possibile composizione. Possono rientrare pertanto nella competenza del mediatore aziendale, ad esempio, i conflitti interpersonali dovuti ad episodi di mobbing, le difficoltà di convivenza dovute a diversità etniche, linguistiche o religiose: ovvero tutti quei problemi che rendono problematica, se non impossibile, la tranquilla e proficua collaborazione, senza per questo arrivare a costituire materia di competenza sindacale o giudiziaria.
Mediazione penitenziaria: mira a ridurre la conflittualità fra la popolazione carceraria e fra questa e la polizia penitenziaria cercando al contempo di sviluppare interazioni significative caratterizzate dal dialogo fra i membri dei due gruppi.
Mediazione familiare o genitoriale: è quella procedura che, in materia di divorzio o di separazione, prevede la presenza di un terzo, il mediatore, imparziale e qualificato, che interviene su richiesta delle parti o del giudice o degli avvocati, per fronteggiare la riorganizzazione resa necessaria dalla separazione o dal divorzio, nel rispetto del quadro legale. Il ruolo del mediatore è quello di portare i membri della coppia a trovare da sé le basi di un accordo durevole e mutualmente accettabile, tenendo conto dei bisogni di ciascuno dei componenti della famiglia e in particolare di quelli dei figli, in uno spirito di corresponsabilità e di uguaglianza dei ruoli parentali. La mediazione familiare o genitoriale si distingue dalle diverse forme di terapia siano esse di coppia o familiare che sono finalizzate generalmente a mantenere e a preservare la relazione matrimoniale o di coppia. La mediazione familiare ha come obiettivo principale quello di aiutare i coniugi a risolvere questioni pratiche ed urgenti: la custodia dei figli, le visite, il mantenimento ecc.. Si tratta di un intervento di tipo situazionale.
Il conflitto
Alle origini di ogni mediazione vi è dunque un conflitto, una contesa, una contrapposizione. Tradizionalmente si tende a considerare il conflitto in generale come manifestazione di disfunzioni all’interno di una struttura, come evento da reprimere o da prevenire mediante efficaci interventi di carattere normativo. Tuttavia l’esistenza di conflitti è intrinseca a qualsiasi struttura vivente: il conflitto fa parte della normale esperienza della vita.
N.B. Il conflitto è la normalità e, in se stesso, non è né un bene né un male.
Esso può avere effetti di crescita vitale come può risultare invece distruttivo ogni qual volta che dinamiche parziali, fuori controllo, diano luogo ad esiti di dissoluzione della struttura globale entro cui il conflitto si è verificato. Questo è il caso, ad es., in cui la violenza del contrasto riguardo a un problema di comune interesse induce a pensare che i desideri e le tendenze di ciascuno escludano le possibilità di successo dei desideri e delle tendenze altrui, mentre al tempo stesso le parti coinvolte non sono disposte a transigere sui temi in questione e che direttamente le riguardano. La contrapposizione di interessi può rivelarsi tanto radicale da convincerci spesso che al termine di un conflitto debbano esservi a tutti i costi un vinto e un vincitore.
N.B. Occorre modificare questa interpretazione del conflitto tesa a attribuire ad esso il significato della competizione, o della disputa ove vige il mors tua vita mea. Il conflitto infatti è parte costitutiva di ciò che nel corso del tempo muta e cambia, cioè è parte integrante di un processo dinamico, il cui esito può parimenti assumere una fisionomia distruttiva o creatrice a seconda di come viene gestito e condotto tale processo di mutazione delle interazioni e delle relazioni di un “sistema complesso”, sia esso un singolo organismo, una coppia, un gruppo o un ambiente sociale.
Chi si occupa di mediazione è o dovrebbe essere un tecnico della gestione del mutamento, secondo le linee evolutive proprie del mutamento stesso. Cioè, se da una parte non devono esistere sistemi di controllo che prescrivono in anticipo i comportamenti da adottare, allo stesso tempo le parti coinvolte in un conflitto devono disporre di un equilibrio di poteri e devono avere anche qualche “interesse” a mantenere integri almeno alcuni aspetti dell’organizzazione preesistente.
Nel caso degli esseri umani, sembra proprio che vivere significhi essere in conflitto. Si ha conflitto nei luoghi di lavoro, nelle aule dei tribunali, fra partiti politici, classi sociali. Si ha conflitto fra aziende e fra strutture o sistemi appartenenti alla stessa azienda. Oppure tra le diverse esigenze che una comunità manifesta nell’espressione dei propri bisogni sociali. Conflitti nascono poi costantemente anche entro noi stessi.
La tendenza a funzionare in maniera unitaria è considerata una delle garanzie per la nostra stessa sopravvivenza, non deve quindi sorprendere che ogni conflitto appaia spontaneamente al nostro amore di quieto vivere come indicazione di qualcosa che non va se non addirittura di qualcosa di malato.
E’ proprio quest’ottica pseudo-terapeutica che ci spinge a cercare medicine appropriate per sopprimere il conflitto, favorendo una cultura repressiva e implementando paradossalmente la stessa natura del conflitto, che si cerca di eliminare con efficaci rimedi. Ma in molti casi la soppressione del conflitto, inteso come sintomo, seppur eseguita con successo, non ci garantisce affatto che non nasca un altro conflitto subito poco dopo, con fisionomie diverse ma di eguali intensità e contenuti.
Ogni conflitto è un prezioso segnale di qualcosa che sta accadendo: sopprimerlo significa privarsi di informazioni preziose per eventualmente risolvere un disagio anche profondo.
N.B. accostarsi ai conflitti con ottica terapeutica non conduce molto lontano: si finisce con il soffocare il conflitto stesso, piuttosto che elaborarlo in maniera costruttiva. E sono proprio i conflitti soffocati, non gestiti, o gestiti male, che diventeranno con ogni probabilità problemi gravi, tali da condurre a conseguenze nocive sia sul piano personale che su quello sociale.
Per trasformare il conflitto in qualcosa di utile, è piuttosto necessario gestirlo in maniera opportuna: prendersene cura senza volerlo curare.
Intendere il conflitto nella sua funzionalità trasformativa implica coglierlo come segnale di ricchezza, diversificazione, come un’occasione offerta per ridefinire la situazione e cercare stimoli di crescita in direzioni nuove, un’opportunità di intervento sulla dinamica delle strutture.
Diventa quindi importante non metterlo a tacere, ma trattarlo in maniera oculata, attraverso un processo che abbandoni le concezioni lineari basate sul modello causa-effetto, sino a giungere a una visione globale delle sue dinamiche, nei suoi rapporti interni e nelle sue relazioni: non vi è mai una sola causa che produce un solo effetto per poi fermarsi. Ogni causa produce effetti molteplici, che a loro volta si ripercuotono sulla causa in maniera complessa ed articolata. Tutto questo senza poi scordare che in ogni conflitto vige una sorta di simmetricità tra le parti contendenti, ove ognuno ha buone ragioni di fare e di dire ciò che dice e fa.
Uno dei numerosi vizi del pensiero lineare (cioè non complesso) è quello di cercare una causa che renda conto di un certo stato di cose. Nel caso di due persone che litigano, alimenta infatti la consuetudine di attribuire la responsabilità del malessere generata dal loro conflitto a uno soltanto dei suoi membri, che, in quanto malato, deviante, con un caratteraccio o altro, deve venire curato opportunamente. E’ una visione basata sul rassicurante concetto secondo cui i problemi che possono sorgere tra due parti in conflitto possono venir risolti aggiustando la parte guasta.
Il mediatore deve abituarsi alla paradossale situazione di almeno due persone assolutamente normali che, se non altro al momento in cui le incontra, sono convinte di odiarsi e che recitano in tutta onestà la propria parte, imputandosi magari vicendevolmente di colpe e misfatti orrendi: che orrende sono solo all’interno del particolare vissuto individuale di una persona colta in un momento particolare della sua vita.
Lo stesso può dirsi per altre situazioni entro cui la mediazione viene applicata: nelle periferie degradate delle grandi metropoli è possibile che persone del tutto normali si trasformino in devianti o in teppisti. Così come l’adolescente finito in un percorso giudiziario infernale e kafkiano viva la sua esperienza come qualcosa di profondamente ingiusto, qualcosa su cui rimuginare vendette.
Ogni intervento di mediazione è un intervento di emergenza, in cui è necessario fornire un primo soccorso, costruendo ponti di barche, certamente provvisori, ma che consentano comunque di riattivare la comunicazione e di evitare guai peggiori, oltre a quelli che sono già avvenuti e di cui la mediazione può prendere solo atto.
La mediazione mira ad accrescere l’autonomia delle parti, affinché riescano a giungere a decisioni comuni senza dover ricorrere ad autorità esterne.
Cosa la Mediazione non è
Non è “soluzione” di conflitti. La mediazione non è un mezzo per risolvere o appianare i conflitti, per perpetuare situazioni lavorative insoddisfacenti, per costringere qualcuno ad accettare ragioni che non sente proprie, per mantenere e controllare certe condizioni sociali, per rimettere in piedi un esperienza matrimoniale fallita. Il punto non è quello di stabilire chi ha ragione o chi ha torto. La mediazione tende a mettere le parti in condizione di uscire da situazioni di stallo che le vedono bloccate o ad evitare o ridurre gli effetti di un conflitto distruttivo.
Non ha a che fare con i sistemi giudiziari. La natura medesima del processo legale, basato su una logica del tipo vinco io, perdi tu è ciò che lo rende incompatibile con le idee su cui poggia la mediazione. La mediazione richiede infatti di non decidere per gli altri: gli antagonisti devono trovare da essi stessi, per loro stessi la soluzione dei propri conflitti. Le parti in lite devono poter passare dalla condizione di soggetto agito e agitato dalle proprie reazioni emotive all’interno delle dinamiche del conflitto, a quella di soggetto agente, elaborando e proponendo esse stesse un progetto costruttivo di conciliazione.
Non è un puro e semplice negoziato. Il negoziato in sostanza è un processo in cui due o più controparti, nessuna delle quali sia in grado di prevalere sull’altra, tentano di raggiungere un accordo che rappresenti una soluzione soddisfacente per tutti e che risolva le differenze di preferenza riguardo a un problema di comune interesse. La soluzione può essere ottenuta attraverso: 1) negoziazione diretta 2) negoziazione attraverso un messaggero 3) negoziazione attraverso rappresentatnti. E tutto ciò attraverso diversi stili: concessioni, minacce, collaborazione
Non è arbitrato L’arbitro decide, e le parti in conflitto delegano ad altri l’esercizio della propria decisionalità e vi abdicano volontariamente.
Il percorso della Mediazione
Il percorso di Mediazione si delinea attraverso delle fasi tipiche, il cui sviluppo può variare in base alle diverse esigenze espresse dalle parti in conflitto. Il processo di Mediazione appare infatti svilupparsi attraverso i seguenti passaggi chiave: la pre-mediazione il contratto di Mediazione la negoziazione ragionata la redazione degli accordi
La pre-mediazione
La I fase è finalizzata a creare le condizioni emotive migliori affinché i confliggendi siano disponibili a negoziare. Questa fase di pre-mediazione, mette a tema la presa di decisione della risoluzione, da parte di entrambi i componenti, del conflitto in corso. E’ utile allo scopo che entrambe le parti, con l’ausilio del mediatore, facciano un bilancio personale riconoscendo ed elaborando le motivazioni che hanno condotto al conflitto e le implicazioni emotivo-affettive connesse alla disputa.
La Mediazione verrà proposta e illustrata quale risorsa utile per affrontare al meglio la difficile situazione attuale e prefigurare differenti prospettive di vita futura per tutti. In questa delicata fase, il Mediatore ha come obiettivo principale quello di superare le rigidità presenti tra i confliggendi, sostenendoli e dando loro fiducia
Il contratto di mediazione
Si accede poi alla II fase, in apertura della quale i confliggendi, con l’aiuto del mediatore, identificano e definiscono i temi che intendono discutere e riportare nel contratto di Mediazione, dopo la stesura del quale ha inizio la negoziazione. La sottoscrizione del contratto di Mediazione rappresenta un momento di riflessione e di impegno che i confliggedi assumono, reciprocamente e innanzi al mediatore, ad intraprendere un percorso, rispettandone le regole e condividendone gli obiettivi. Gli argomenti affrontati possono essere i più vari.
La negoziazione ragionata
La III fase è la più lunga e costruttiva di tutto il percorso. La negoziazione ragionata utilizzata in Mediazione si distingue da quella classica che vede semplicemente i due antagonisti prendere una posizione divergente, discutere facendosi delle reciproche concessioni per giungere a dei compromessi che non sempre risultano vantaggiosi per entrambi poiché implicano delle rinunce.
La negoziazione in Mediazione, invece, facilita l’esplorazione dei bisogni reali delle parti in conflitto al di là delle rigide posizioni assunte, mantenendo una relazione soddisfacente che permette di gestire in autonomia probabili negoziazioni future. Per ogni tema di discussione, il mediatore stimola il singolo partner ad identificare oggettivamente il problema e a definirne la personale soluzione dopo averne evidenziato i punti di disaccordo o di accordo già raggiunti. Successivamente, vengono esplorati i bisogni e gli interessi specifici di ognuno dei confliggendi, sottostanti alle posizioni assunte.
Il mediatore, alla luce delle informazioni raccolte, stimola entrambe le parti ad elaborare innovative e personali soluzioni possibili atte a raggiungere l’obiettivo identificato nel rispetto dei bisogni emersi.
Ampliare il numero delle opzioni e delle alternative di scelta consente ai partner di valutare vantaggi e punti di debolezza di ciascuna soluzione proposta, facilitando così la presa di decisione che verosimilmente coinciderà con la soluzione che raggiunge l’obiettivo concordato, soddisfando al meglio i bisogni di entrambi.
La specificità di questo approccio non solo aiuta le parti in conflitto ad elaborare quanto emerge nel corso di ogni singolo incontro, ma le permette anche di sperimentare gli accordi via via raggiunti e prendere graduale coscienza che è possibile essere protagonisti della nuova situazione senza necessariamente subirla per volontà del partner, dell’avvocato o, nella peggiore delle ipotesi, del giudice.
Gli accordi
Al termine degli incontri, negoziati tutti i punti in conflitto, il mediatore stende gli accordi raggiunti in un progetto di intesa che consegna ad entrambi i partner, ognuno dei quali è libero di seguirne le indicazioni per riorganizzare in modo responsabile la propria vita o di formalizzarlo ai fini di una procedura legale.
Una delle principali finalità del mediatore familiare è infatti, oltre a favorire una nuova modalità relazionale e comunicativa al di là del conflitto, di redigere un documento che contenga i principi e le decisioni che i confliggendi hanno discusso nei singoli incontri nel rispetto dei peculiari interessi di ciascuno e sempre nell’ambito del quadro normativo vigente.