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- 23 Settembre 2015
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La deontologia come parametro di qualità nell’esercizio della professione di psicologo
di Fulvio Frati*
Il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani è stato approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine nella sua seduta tenutasi il 27 ed il 28 giugno 1997, e quindi confermato con referendum dagli Iscritti all’Ordine degli Psicologi in data 17 gennaio 1998. Tutto ciò è stato quindi esattamente effettuato come richiesto dal comma 6 dell’art.28 della Legge 56/89, il quale infatti testualmente afferma che “Il Consiglio nazionale dell’ordine esercita le seguenti attribuzioni: …… c) predispone ed aggiorna il codice deontologico, vincolante per tutti gli iscritti, e lo sottopone all’approvazione per referendum agli stessi”.
Come inoltre prescrive l’art.42 del Codice Deontologico stesso, esso è entrato in vigore “il trentesimo giorno successivo alla proclamazione dei risultati del referendum di approvazione“, vale a dire il 16 febbraio 1998. Da tale data, pertanto, tutti coloro che esercitano a pieno titolo la professione di Psicologo nel nostro Paese hanno a disposizione un preciso testo scritto quale riferimento fondamentale per le normative e le problematiche deontologiche di questa Professione.
Ciò che la Deontologia rappresenta oggi nell’esercizio di una specifica attività professionale può comunque essere individuato con maggiore chiarezza se, insieme al fornire di essa un idoneo inquadramento all’interno delle norme legislative che la riconoscono ed una specifica definizione sufficientemente adeguata e condivisa, si cerca di definire preliminarmente anche altri due concetti che inevitabilmente la riguardano, vale a dire quelli di “Etica” ed, ancor prima, di “Morale” .
Occorre comunque premettere, al riguardo, che le varie scuole di pensiero che si sono occupate sino ad oggi di questi temi in differenti ambiti quali ad esempio quelli filosofico, storico, giuridico ecc., non hanno sinora fornito, e probabilmente non forniranno mai, definizioni unanimemente condivise rispetto a tali concetti. Pertanto, in questa sede, tenterò semplicemente di utilizzare definizioni che, rispetto ad essi, sembrano oggi sufficientemente diffuse ed accettate, considerandoli sostanzialmente dal punto di vista di chi si sta occupando delle problematiche e delle necessità di una specifica professione intellettuale quale è quella di Psicologo, anche se appare evidente che da punti di vista sicuramente differenti (quali possono essere, ad esempio, quelli di un economista, di un sociologo o di uno studioso di problematiche religiose, tanto per citarne alcuni tra i molti ipotizzabili) tali definizioni possono risultare probabilmente incomplete, inadeguate o comunque complessivamente non confacenti alle relative problematiche e necessità.
Con queste doverose premesse, pertanto, appare ora possibile fornire alcune specifiche definizione, rispettivamente, dei termini “Morale”, “Etica”, “Deontologia” e “Codice Deontologico” .
§ MORALE : La parola “Morale” deriva dal latino “mos”, che significa “costume”. Essa infatti descrive e definisce i costumi, gli stili di vita, i comportamenti ed i pensieri umani, con particolare riferimento rispetto a ciò che è considerato “bene” ed a ciò che invece è considerato “male”. Pertanto, proprio in quanto si riferisce ai “costumi” che mutano da società a società e si modificano nel corso del tempo, la Morale non può essere unica ed immutabile per tutta l’Umanità, ma cambia da popolazione a popolazione e si modifica nel corso degli anni anche all’interno della stessa civiltà alla quale si applica. La Morale non è perciò statica e definibile “a priori” una volta per tutte, ma “segue i tempi” per soddisfare le esigenze di sopravvivenza degli individui e delle comunità che essi costituiscono.
§ ETICA : L’ “Etica” è quella parte della filosofia che studia la Morale, cioè i costumi ed i comportamenti umani, cercando di comprendere e definire i criteri in base ai quali è possibile valutare le scelte e le condotte degli individui e dei gruppi, nonché le caratteristiche ed i contenuti delle dinamiche sociali nel corso dei quali si definiscono e si ridefiniscono, in un continuo processo di verifica e di aggiustamento interno ad ogni individuo e degli individui tra di loro, i valori, i principi e le regole cui si richiamano i singoli ed i gruppi.
§ DEONTOLOGIA : La “Deontologia” è l’insieme dei valori, dei principi, delle regole e delle consuetudini che ogni gruppo professionale si dà e deve osservare, ed alle quali deve ispirarsi nell’esercizio della sua professione.
§ CODICE DEONTOLOGICO : Il “Codice Deontologico” è lo strumento, scritto e reso pubblico, che stabilisce e definisce le cosiddette “norme deontologiche”, vale a dire le concrete regole di condotta che devono necessariamente essere rispettate nell’esercizio di una specifica attività professionale.
Come bene si evidenzia da tali definizioni, proprio perché l’Etica e la Morale che sono alla base dei principi e delle norme deontologiche non sono mai qualcosa di stabile o di definitivo ma sono invece qualcosa che muta nel corso del tempo, così anche la Deontologia ed il Codice Deontologico di ciascuna Professione hanno un senso solo se riferiti a quella specifica Professione in un dato momento storico ed all’interno di una ben individuata Società, e devono adeguarsi ai mutamenti della Morale e dell’Etica che all’interno di quella determinata Società si verificano nel corso del tempo.
Con tali premesse, un’adeguata definizione generale del termine “Deontologia” pare proprio possa essere quella sopra riportata: essa è stata adottata nel 1983 dal Codice Deontologico del Collegio Nazionale dei Ragionieri e dei Periti Commerciali, ma appare ancora attuale non solo per tale Categoria Professionale, ma anche in riferimento a quello che può essere oggi il concetto di Deontologia all’interno della stessa Categoria degli Psicologi italiani.
L’opportunità, peraltro, di raccogliere le norme deontologiche in un organico testo scritto specifico di ogni Categoria professionale e di non lasciarle genericamente soggette ad una trasmissione informale tra i suoi appartenenti, nasce essenzialmente dalla necessità di applicazione, anche nell’ambito interno di una Categoria professionale specifica, di quel generale “Principio di Legalità” (sintetizzabile con l’espressione latina, spesso al riguardo utilizzata dai giuristi, “Nullum crimen nulla poèna sine lege scripta”) che sicuramente caratterizza in modo fondamentale il passaggio dal Diritto medioevale (basato sull’Autorità riconosciuta “per diritto divino” al Re o ai suoi rappresentanti locali) al Diritto moderno, nel quale la dignità del singolo individuo acquista un valore ed un riconoscimento sociale sicuramente assenti nel sistema aristocratico-feudale.
Per comprendere correttamente, inoltre, almeno alcuni degli aspetti del Diritto moderno che conferiscono ai valori ed ai principi deontologici in quanto prodotto spontaneo della tradizione e della vita di una Comunità professionale la ulteriore capacità di poter dare origine a veri e propri “Codici”, in grado a loro volta di raccogliere in modo organico le norme la cui violazione comporta una concreta perseguibilità dei propri appartenenti sul piano disciplinare attraverso la possibilità di applicazione di reali sanzioni punitive, può sicuramente essere utile in questa sede fornire la distinzione, correntemente adottata nel Diritto e nella giurisprudenza moderni nei loro vari settori di applicazione (Penale, Civile, Amministrativo ecc.), tra le norme giuridiche cosiddette “precettive” (o primarie) e quelle invece abitualmente definite con il termine di “di indirizzo” (o di secondo grado).
Si definiscono infatti “norme giuridiche precettive” (o “primarie”) quelle norme che regolamentano i comportamenti specifici degli individui (es. Codice Penale, Codice Civile, Codice Deontologico ecc.), mentre si definiscono “norme giuridiche d’indirizzo” (o “di secondo grado”) quelle norme che prevedono e regolano il “quadro complessivo” all’interno del quale trovano il loro fondamento giuridico le norme che regolamentano i comportamento specifici (Es.: Costituzione della Repubblica Italiana, Codice Civile, “Leggi-Quadro” ecc).
Come è peraltro necessario evidenziare, all’interno di singole raccolte di norme dedicate alla stessa materia quali sono i singoli Codici si può anche constatare, a volte, la contemporanea presenza di norme sia “precettive” (o primarie) che “d’indirizzo” (o di secondo grado) E’ questo il caso, ad esempio, del Codice Civile, che pur contenendo una serie di norme che essenzialmente si definiscono come “precettive” (proprio in quanto tese a regolamentare gli specifici comportamenti dei singoli individui nei vari ambiti della vita civile della nostra Società) presenta anche, in alcuni casi, disposizioni che si conSchemano come “d’indirizzo” in quanto evidenziano, sulla materia di loro competenza, la necessità di ulteriori norme o previsioni più specifiche da regolamentarsi con disposizioni ulteriori. In particolare, tra le norme giuridiche “d’indirizzo” più rilevanti al fine di questa specifica analisi dei presupposti normativi che giustificano l’esistenza del Codice Deontologico degli Psicologi italiani, troviamo l’articolo 2229 del Codice Civile, , che testualmente afferma che “La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi. L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente. Contro il rifiuto dell’iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all’esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali”.
L’articolo 2229 del Codice civile, pertanto, demanda agli Ordini professionali l’esercizio del potere disciplinare sugli iscritti. Anche per gli Psicologi vale questo principio: in prima istanza (e “in via amministrativa”) decidono al riguardo i Consigli Regionali o Provinciali, e le loro deliberazioni sono immediatamente esecutive. Poi, in sede di impugnazione, la potestà decisionale passa al Tribunale della città dove ha sede l’Ordine regionale o provinciale.
La professione di Psicologo, come le altre attività intellettuali, fonda quindi le sue regole deontologiche – cioè il complesso di regole di condotta che devono essere rispettate nell’attività professionale – sul diritto (il rispetto delle leggi), sull’etica (la coscienza e la morale) e sulla prassi (i comportamenti ripetuti e costanti della pratica psicologica, clinica e non solo). In realtà, questi sono tre punti diversi di una medesima serie di fonti di natura essenzialmente etica o morale, che del resto ogni Ordinamento giuridico contiene. Ciò non toglie però che anche le regole deontologiche sono a tutti gli effetti norme giuridiche vere e proprie, per cui la loro violazione comporta l’irrogazione di una sanzione disciplinare.
Tutto ciò è stabilito da una precisa serie di articoli contenuti all’interno della Legge n.56 del 18 Gennaio 1989, titolata “Ordinamento della professione di Psicologo”, quali ad esempio gli artt. n. 12, 17, 26, 27 e 28. Tali articoli della Legge 56/89 acquistano quindi anch’essi il preciso valore di “norme deontologiche di indirizzo” nella professione di Psicologo.
Tra tutte le norme suddette, un’attenzione particolare va peraltro rivolta all’articolo 26, che dettaglia le sanzioni disciplinari che possono essere inflitte agli Iscritti all’Albo professionale degli Psicologi che si sono resi colpevoli di violazione delle norme contenute nel relativo Codice Deontologico in quel momento vigente. Esse sono attualmente le seguenti:
a) Avvertimento: semplice diffida a non protrarre la condotta scorretta né a ricadere nella mancanza commessa
b) Censura: dichiarazione di biasimo per la scorrettezza compiuta
c) Sospensione dall’esercizio professionale per un periodo non superiore ad un anno: inibizione temporanea ad esercitare la professione
d) Radiazione: espulsione dall’Albo professionale, con il conseguente divieto di esercizio dell’attività professionale.
(Fonte: Guglielmo Gulotta ed Eugenio Calvi, Il Codice Deontologico degli Psicologi
commentato articolo per articolo, Milano, Giuffrè Editore, 1999).
Nell’attuale linguaggio giuridico si possono quindi definire come “norme di indirizzo” tutte quelle norme che prevedono e regolano il quadro complessivo all’interno del quale trovano il loro fondamento giuridico le norme che invece regolamentano comportamento specifici (che sono invece a loro volta denominate “norme precettive”). Inoltre, si distinguono tre tipi di norme precettive (o primarie) :
1) quelle che comportano precisi divieti ;
2) quelle che comportano precisi obblighi (ambedue questi tipi specifici di norme sin qui citati vengono poi raccolti anche sotto la più ampia definizione di “norme imperative” );
3) quelle che sanciscono invece una semplice possibilità, peraltro non obbligatoria, di compiere una determinata azione o di assumere uno specifico comportamento (norme cosiddette “permissive”).
Riepilogando, quindi, possiamo definire la “norma deontologica” come quella particolare “norma giuridica che regola un’attività professionale nei suoi aspetti etici”. Per quanto poi riguarda specificatamente tale tipo di norma, si può affermare che si hanno anche nell’ordinamento complessivo che riguarda gli aspetti deontologici della professione di Psicologo due tipi di norme:
1) norme deontologiche “di indirizzo” (o di secondo grado) (ad es. artt.28, 27, 26, 17 e 12 L. 56/89; art.2229 Codice Civile ecc.): sono quelle regole che istituiscono il nostro Ordine professionale e che conferiscono a tale Ordine la funzione di produrre e far applicare una specifica normativa deontologica ;
2) norme deontologiche “precettive” o primarie: sono quelle regole che definiscono ciò che è obbligatorio, ciò che è proibito e ciò che è permesso nell’esercizio dell’attività professionale di Psicologo, e che trovano la loro più specifica ed organica espressione nel testo del vigente Codice Deontologico degli Psicologi italiani.
Questo nostro Codice Deontologico comprende pertanto al proprio interno sia norme di tipi “imperativo”, alcune delle quali sanciscono precisi “divieti” ed alcune altre che sottolineano invece altrettanto precisi “obblighi”, sia norme di tipo “permissivo”, che concedono cioè la possibilità di svolgere determinate attività o di assumere determinati comportamenti senza doverli tuttavia sempre obbligatoriamente attuare. Esso è complessivamente costituito da 42 articoli, suddivisi in cinque gruppi tra loro omogenei e riuniti quindi nei cinque seguenti “Capi”:
§ Capo I : “Principi generali”. E’ costituito da 21 articoli (dall’1 al 21 compresi);
§ Capo II : “Rapporti con l’utenza e con la committenza”. Raggruppa 11 articoli (dal 22 al 32 compresi);
§ Capo III : “Rapporti con i Colleghi” . E’ composto da 6 articoli (dal 33 al 38 compresi);
§ Capo IV : “Rapporti con la società”. E’ costituito da 2 soli articoli (il 39 ed il 40) ;
§ Capo V : “Norme di attuazione”. Raggruppa anch’esso 2 soli articoli (il 41 ed il 42).
Il testo del Codice Deontologico degli Psicologi italiani attualmente vigente è stato ripetutamente pubblicato su diversi numeri dei Bollettini d’informazione degli Ordini territoriali e sul Giornale dell’Ordine Nazionale “La professione di Psicologo”. E’ peraltro possibile scaricarne il testo completo sia dal Sito Web dell’Ordine Nazionale degli Psicologi, all’indirizzo https://www.psy.it , sia da molti Siti Web dei vari Ordini Regionali e Provinciali.
Come bene illustra ed evidenzia in un suo scritto su questa materia uno tra i più profondi conoscitori e studiosi del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, Eugenio Calvi, il quale ha direttamente partecipato in qualità di Componente della Commissione Deontologica del Consiglio dell’Ordine Nazionale all’elaborazione del testo che poi è stato approvato per referendum dalla Categoria professionale e che da allora non è ancora stato modificato, “nell’elaborazione del Codice Deontologico degli Psicologi italiani la Commissione ad hoc del Consiglio Nazionale dell’Ordine” si era presto trovata concorde nell’individuare per esso le quattro seguenti “finalità ispiratrici”:
1) Tutela del cliente;
2) Tutela del professionista nei confronti dei Colleghi;
3) Tutela del gruppo professionale;
4) Responsabilità nei confronti della Società.
Nella progressiva e concreta elaborazione del testo, peraltro, i Componenti della Commissione concordarono sul fatto che tali finalità non erano esclusive delle necessità deontologiche della Categoria professionale degli Psicologi, ma erano presenti in modo più o meno esplicito in molte normative deontologiche riguardanti altre attività professionali. Inoltre, esse si ripresentavano ciclicamente con maggiore o minore evidenza ogni qualvolta si esaminava un singolo aspetto concreto delle problematiche deontologiche all’interno delle specifiche attività concernenti la professione, per cui nel testo del Codice che progressivamente la Commissione andava elaborando esse non si venivano a ritrovare espresse in modo ordinato ed organico a costituirne la struttura visibile, ma costituivano una sorta di quattro “fili” tra loro variamente intrecciati che lo percorrevano in modo più o meno visibile per tutta la sua lunghezza, e che apparivano, in maniera particolarmente esplicita, ciascuna in momenti specifici.
Per definire perciò la loro visibilità complessiva all’interno del vigente testo del Codice, si può forse affermare che le quattro “finalità ispiratrici” del Codice sono presenti all’interno di esso con una struttura definibile con l’espressione, oggi spesso al riguardo utilizzata, “a macchia di leopardo”. In particolare, le esigenze di “Tutela del cliente” sono chiaramente ribadite, ad esempio, negli artt.4, 9, 11, 17 e 28; quelle relative alla “Tutela del professionista nei confronti dei Colleghi” si trovano espresse in modo estremamente esplicito negli artt.35 e 36; le necessità di “Tutela del gruppo professionale” sono sottolineate con particolare evidenza, ad esempio, negli artt.6 ed 8 e quelle di “Responsabilità nei confronti della Società”, infine, risultano presenti tra gli altri negli artt.3 e 34 (Calvi, E., Le linee guida del Codice Deontologico, in Il Codice Deontologico degli Psicologi commentato articolo per articolo, Milano, Giuffrè Editore, 1999, pagg. 19-22).
Nello stesso scritto sopra citato, inoltre, Calvi afferma che alla base del Codice Deontologico vi sono, oltre alle suddette quattro “finalità ispiratrici”, anche quattro “principi generali” o “imperativi-guida” che sempre appaiono necessari nell’attività professionale dello Psicologo. Secondo Calvi, essi sono in particolare i seguenti:
1) Meritare la fiducia del cliente;
2) Possedere una competenza adeguata a rispondere alla domanda del cliente;
3) Usare con giustizia il proprio potere;
4) Difendere l’autonomia professionale.
Anche questi quattro “Principi Generali” appaiono acquisire, all’interno del testo del vigente Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, una dimensione “intrecciata” e “longitudinale” per alcuni aspetti simile a quella che caratterizza le quattro “finalità ispiratrici” sopra riportate, ed assumono perciò alla fine anch’essi una distribuzione complessiva “a macchia di leopardo” che di fatto contrasta un po’ con il titolo di “Principi generali” che definisce esplicitamente il “ Capo I” del Codice Deontologico stesso (e che come sopra si ricordava raggruppa invece solo i primi 21 articoli). Tali principi o “imperativi-guida”, infatti, presentano a volte una specifica evidenza anche in articoli che non fanno parte di tale Capo I: in particolare, la necessità di “Meritare la fiducia del cliente” è ribadita soprattutto negli artt.11, 18, 21 e 25; il “Possedere una competenza adeguata a rispondere alla domanda del cliente” è particolarmente sottolineato negli artt.5, 22 e 37; “Usare con giustizia il proprio potere” è un principio decisamente evidente, ad esempio, negli artt.22, 4, 18, 28, 38, 39 e 40 ed il “Difendere l’autonomia professionale”, infine, appare esplicitamente ribadito soprattutto nell’art.6.
I quattro suddetti “Principi generali” vengono inoltre ripresi da Calvi in uno scritto successivo a quello in precedenza citato, ma vengono in questo caso definiti utilizzando al riguardo il termine complessivo, forse più chiaro del precedente proprio anche in quanto non coincidente con il titolo del “Capo I” del Codice, di “Imperativi deontologici” degli Psicologi Italiani. In sintesi, e dichiarando esplicitamente di seguire al riguardo le tesi “di Lisa Newton, che insegna all’Università di Fairfield negli U.S.A. e che dirige il programma di Etica applicata”, così Calvi li descrive in questo suo ulteriore scritto (Calvi, E., Etica e deontologia per lo psicologo e lo psico-terapeuta, in C. Parmentola, Il soggetto psicologo e l’oggetto della psicologia nel Codice Deontologico degli psicologi italiani, Milano, Giuffrè, 2000, pagg. 49-61):
1) “Meritare la fiducia del cliente”: questo primo “imperativo deontologico” discende dalla concezione della professione come servizio, e comporta che il professionista può fare soltanto ciò che va a vantaggio del cliente (“Qualsiasi cosa che sia a vantaggio dello stesso professionista, o di terzi, deve essere subordinata all’utilità che discende al cliente dall’intervento del professionista”);
2) “Possedere una competenza adeguata a rispondere alla domanda del cliente”: questo comporta per il professionista, oltre alla necessità di formazione permanente, anche la capacità di autovalutazione delle proprie competenze, e quindi di essere consapevole dei limiti del proprio sapere e di rifiutarsi di svolgere attività per le quali non ci si sente adeguatamente preparati;
3) “Usare con giustizia il proprio potere”: significa essenzialmente saper rispettare e favorire le capacità decisionali del cliente, avendo come bene supremo da rispettare oltre ogni altro il benessere e la salute psicofisica del cliente e di eventuali terzi;
4) “Difendere l’autonomia professionale”: ciò comporta il rifiuto di ogni ingerenza esterna al “corpus” professionale nel controllo dell’attività del professionista Psicologo, in quanto tali ingerenze produrrebbero automaticamente un calo della fiducia che il cliente deve avere nei confronti dello Psicologo a cui si è rivolto e, quindi, inevitabili scadimenti degli standard professionali.
Ai fini dell’acquisizione di sufficienti competenze deontologiche da utilizzare per svolgere correttamente la propria quotidiana attività professionale, sono pertanto richieste ai Professionisti Psicologi, dalla somma di principi, norme e valori complessivamente ribaditi all’interno del vigente testo del Codice Deontologico di questa Categoria professionale, le seguenti conoscenze e capacità:
§ Conoscenza delle regole deontologiche di comportamento professionale sia nei rapporti fra Colleghi che nei rapporti con i clienti;
§ Conoscenza delle normative più comuni relative alla Privacy;
§ Conoscenza delle normative più comuni relative al Copyright;
§ Conoscenza delle normative più comuni relative alla Qualità;
§ Disponibilità ad aggiornare periodicamente la propria formazione, relativamente ai propri specifici settori di attività, alle proprie esperienze professionali ed all’evoluzione delle conoscenze scientifiche in tali ambiti;
§ Capacità di risposta ai bisogni dei Clienti ed alla soluzione delle loro richieste di assistenza secondo correttezza, etica e deontologia professionale.
Gli argomenti specifici sui quali è necessario per ogni Psicologo professionista acquisire sufficiente competenza appaiono quindi essere almeno i seguenti:
§ Codice Deontologico degli Psicologi: Parte I (Principi generali);
§ Codice Deontologico degli Psicologi: Parte II (Rapporti con i clienti);
§ Codice deontologico degli Psicologi: Parte III (Rapporti con i colleghi);
§ Etica Professionale e Codice Deontologico di comportamento (principi generali);
§ Etica Professionale e Codice Deontologico di comportamento (rapporti con i clienti);
§ Etica Professionale e Codice Deontologico di comportamento (rapporti con i colleghi);
§ Privacy (legge 675/96 e sue successive ulteriori modificazioni ed integrazioni);
§ Copyright (legislazione e suoi principi generali);
§ Conoscenza almeno generale delle norme Nazionali, Regionali (limitatamente alla propria Regione di appartenenza) e Provinciali (limitatamente agli Psicologi operanti nelle Province Autonome di Trento e di Bolzano) che possono avere attinenza con la professione;
§ Conoscenza almeno generale delle norme sulla qualità e dei principi che ne sono alla base;
§ Normative Comunitarie e qualità delle prestazioni dei professionisti (utilizzabilità ed idoneità);
§ Netiquette;
§ Possedere ed utilizzare un proprio e personale account ad Internet ed indirizzo di posta elettronica per un rapido ed efficace scambio di informazioni con i Colleghi ed i Clienti (requisito sicuramente consigliato anche se oggi non ancora considerato come assolutamente indispensabile);
§ Disponibilità a consultare la posta elettronica con una certa frequenza in relazione anche al numero di incarichi (requisito sicuramente consigliato anche se oggi non ancora considerato come assolutamente indispensabile).
Peraltro, anche un’adeguata conoscenza di tutti questi argomenti, sul piano strettamente “cognitivo”, non appare a mio avviso di per sé sufficiente per rispondere pienamente a tutte le richieste che il vigente Codice Deontologico degli Psicologi Italiani avanza a tutti gli iscritti al relativo Albo Professionale, ed in particolare a quella, sicuramente “nodale”, contenuta del primo comma di uno degli articoli in assoluto più importanti, vale a dire l’art.3.
Tale primo comma afferma infatti che “Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità”.
L’utilizzo, all’interno di tale norma, del verbo “promuovere”, ci rimanda direttamente ad un atteggiamento professionale di tipo “attivo” che, dal punto di vista dell’etica e della deontologia, non può sicuramente considerarsi né rappresentato né tantomeno soddisfatto nella mera “non-violazione” delle norme contenute nel relativo Codice, ma che contiene evidentemente in sé anche la necessità sia di azioni propositive finalizzate all’affermazione del benessere psicologico delle persone che, a monte di tali azioni, di motivazioni personali e professionali coerenti con il raggiungimento degli obiettivi ad esse sottese.
Come ci fa infatti al riguardo notare Maria Teresa Desiderio (“Etica e promozione della salute”, in C. Parmentola, Il soggetto psicologo e l’oggetto della psicologia nel Codice Deontologico degli psicologi italiani, Milano, Giuffrè, 2000, pagg. 22-25), “è veramente troppo poco che uno psicologo, per il senso etico della sua professione, sia chiamato solo a non …, a non offendere … , a non attentare alla dignità umana e non invece ad azioni propositive come per esempio a rappresentare ed a contribuire alla dignità umana, nei limiti delle sue possibilità ed all’interno della sua professione. Sicuramente tutti gli psicologi sono impegnati concretamente in tal senso, ma quella che è un’opzione personale dovrebbe diventare un valore ed un dovere professionale, un caposaldo dell’etica e della deontologia della categoria”.
Queste considerazioni di Maria Teresa Desiderio ci indicano pertanto l’ineludibile necessità di operare, qui ed ora, almeno un’ultima fondamentale distinzione, e cioè quella tra la pura e semplice “etica passiva” ed una invece assai più “dinamica”, e di sicuramente diverso livello qualitativo, “etica attiva”.
Definiamo infatti, anche sulla base delle indicazioni che questa Autrice formula al riguardo, l’etica cosiddetta “passiva” come una semplice attenzione alla “non-violazione” delle norme deontologiche. Ma se essa può essere sufficiente in altri ambiti e per altre figure professionali non può sicuramente esserlo, sottolinea la Desiderio, per quanto riguarda la Schema dello psicologo, proprio perché la “promozione della salute” è il fine ultimo della sua attività “in qualsiasi ambito professionale” si trovi ad operare, e perciò tale obiettivo “diventa un valore della categoria, non più di aree di attività nelle quali sonlo una parte di psicologi sono direttamente impegnati”. Di conseguenza, conclude l’Autrice, “si delinea, in tale ottica di attivi doveri, il criterio dell’omissione o della carenza”.
Al contrario, un’etica cosiddetta “attiva” comporta che ogni Psicologo faccia profondamente propria l’esigenza di “contribuire al bene”, qualunque sia il proprio quadro di riferimento teorico. L’etica quindi, in tale concezione, non si definisce più soltanto come un “non-fare” cose contrarie alle norme o ai principi deontologici, ma “si trasforma in attività, fatta di azioni e parole”, finalizzate alla promozione ed al conseguimento del benessere individuale e collettivo.
L’etica cosiddetta “attiva”, inoltre, per potersi esprimere ha bisogno della presenza di almeno tre condizioni o principi fondamentali, vale a dire:
1) La tutela dell’utente e del committente;
2) La tutela del gruppo professionale;
3) La tutela del singolo professionista.
Tali principi fondamentali, peraltro, sono anch’essi ripetutamente presenti e ribaditi nel vigente testo del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, in quanto come già si è in precedenza evidenziato insieme a Calvi essi si identificano, nella sostanza, con tre delle sue quattro “finalità ispiratrici” originarie.
Ci ricorda peraltro in relazione a tutto ciò Renato Di Giovanni, che fu Componente della “Commissione Deontologia” del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi che ha redatto il testo del vigente Codice Deontologico degli Psicologi Italiani: “Sono numerose le direttrici sulle quali è stato costruito il codice deontologico: riferimenti etici, identità scientifica della psicologia, identità professionale dello psicologo, confronto con le esperienze deontologiche degli psicologi di altri paesi. Tuttavia è il vertice etico che ha costituito il cardine intorno al quale hanno orbitato gli altri vertici: dall’etica del soggetto psicologo alla deontologia professionale degli psicologi. Il codice deontologico si può conSchemare anche come uno strumento, nel momento in cui ci aiuta ad orientarci” (Di Giovanni, R., I rapporti con l’utenza e la committenza: Etica, Deontologia ed Epistemologia, in C. Parmentola, “Il soggetto psicologo e l’oggetto della psicologia nel Codice Deontologico degli psicologi italiani”, Milano, Giuffrè, 2000).
E come inoltre afferma al riguardo Giovanni Madonna, che fu anch’egli Componente della “Commissione Deontologia” del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi che ha redatto il testo del vigente Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, “occorre infatti molta tecnica, per essere etico” (cit. in C. Parmentola, in “Il soggetto psicologo ed il suo tempo sociale nel primo Codice Deontologico degli psicologi italiani”, in C. Parmentola, “Il soggetto psicologo e l’oggetto della psicologia nel Codice Deontologico degli psicologi italiani”, Milano, Giuffrè, 2000).
Ma tale affermazione, proprio per le varie ragioni sin qui esposte, può probabilmente essere altrettanto vera anche se espressa in modo “speculare” a come la formula il Collega Madonna: nella professione di Psicologo occorre infatti, a mio avviso, anche molta etica, per essere sufficientemente “tecnici”. Senza un adeguato rispetto “interno” a noi stessi dei princìpi e delle norme deontologiche, senza un’adeguata “introiezione” di esse che ci consenta di osservarle senza dovercele per forza ricordare, il nostro lavoro non può funzionare, la nostra “tecnica” non può essere sufficiente per produrre risultati sufficientemente positivi.
Commenta, in merito a ciò, Catello Parmentola (cit., pag. 94): ”Efficacia e morale sono consustanziali. E occorrono molto tempo e lavoro per fare un buon psicologo. In Scienze Umane, il prezzo da pagare per l’Etica è la Competenza (Allaire)”. E conclude, al riguardo, lo stesso Parmentola, che fu anch’egli Componente della “Commissione Deontologia” del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi che ha redatto il testo del vigente Codice Deontologico degli Psicologi Italiani (cit., pag. 160): “Quindi, come spesso accade, un rigore tecnico-professionale può già costituire anche una forma di salvaguardia deontologica. Un dottore tecnicamente bravo è, per ricaduta, un dottore corretto. Un dottore deontologicamente scorretto non potrà, per ricaduta, che fornire prestazioni tecnicamente scadenti”.
È proprio per questo, quindi, che nella nostra Professione i concetti di “deontologia” e di “qualità” non possono in alcun modo essere disgiunti, ed anzi un adeguato approfondimento della materia deontologica può, e probabilmente deve anche essere, per ciascuno di noi, una via pressoché obbligata per migliorare i livelli qualitativi del proprio concreto agire professionale quotidiano.
* Già Presidente dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna – Componente della Commissione Deontologica del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi