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Home › Blog › L’ essere umano nella psicologia umanistica e costruttivista
  • Articoli di Psicologia clinica
  • da interattivamente
  • 6 Novembre 2022
  • 0

L’ essere umano nella psicologia umanistica e costruttivista

Faust – Ed ho studiato, ahimè, filosofia,
giurisprudenza, nonché medicina:
ed anche, purtroppo, teologia.
Da cima a fondo, con tenace ardore.
Eccomi adesso qui, povero stolto;
e tanto so quanto sapevo prima.
Mi chiamano Maestro: anzi Dottore.
Sono dieci anni che menando vo
pel naso i miei scolari,
di sù di giù, per dritto e per traverso
Ma solo per accorgermi
che non ci è dato di sapere, al mondo,
nulla di nulla.
E quasi mi si strugge, ardendo il cuore.
[Johann Wolfgang von Goethe, Faust, traduzione di Vincenzo Errante, Sansoni, Firenze 1966.]

Da Humanitas

La scelta etica a fondamento dell’umano

Marco Inghilleri e Fabrizio Luciano

Passaggio al Bosco Edizioni, in corso di stampa

[…]

3.1. L’essere umano nella psicologia umanistica e costruttivista

Le psicologie umanistiche si distinguono generalmente sia in merito alle idee che respingono, sia a quelle che prediligono. Tutte tendono a rifiutare l’impostazione psicodinamica e motivazionale di impronta psicoanalitica o quelle che fanno capo alla teoria dell’apprendimento, così come le psicologie che si fondano sulla teoria dei tratti. Questo rifiuto è accompagnato dall’attenzione rivolta invece alle esperienze individuali di natura immediata e alle relazioni, incontri, e percezioni attuali in cui la persona è coinvolta. L’individuo è visto perciò nel suo essere nell’esperienza e non quindi in relazione ad una particolare struttura di personalità, oppure ad una sindrome legata a predisposizioni precoci di natura “psicodinamica”. Il centro motore di queste teorie è in definitiva l’esperienza soggettiva dell’individuo, il suo personale punto di vista del mondo e del sé e le sue convinzioni di natura privata. Inoltre, la maggior parte delle teorie umanistiche tendono ad esaltare l’aspirazione e la spinta dell’individuo alla propria crescita e realizzazione personale.

Esse, inoltre, prestano attenzione al processo cognitivo, vale a dire a come arriviamo a conoscere e comprendere il mondo e noi stessi, interesse che contempla evidentemente attenzione ai processi interni e mentali attraverso cui gli individui “codificano” e categorizzano l’informazione. Sotto l’influenza dello psicologo svizzero Jean Piaget le teorie cognitive pongono l’accento sulle “strutture mentali” della persona e sulla modalità attiva tramite la quale la mente elabora significati e dati dall’esperienza. Tutto ciò che della realtà noi conosciamo è frutto di mediazione, ad opera non soltanto degli organi dei sensi ma di quei sistemi complessi che interpretano e reinterpretano l’informazione sensoriale. In sintesi, ciò cui sono maggiormente interessate queste teorie è l’esperienza dell’individuo così come egli o ella la percepisce o la categorizza, vale a dire la fenomenologia della persona. In termini ideali, possiamo affermare che ciò che queste psicologie vorrebbero è osservare il mondo attraverso gli occhi del soggetto, entrare nei suoi panni, essere il soggetto stesso abbastanza a lungo da riuscire in certa misura ad esperire la sua stessa esperienza.

Tali premesse epistemologiche non sono estranee al nostro tentativo di comprendere “l’umanità degli esseri umani”. Anzi! Ciò mette maggiormente in evidenza il fatto che l’umanità degli esseri umani si mostra solo attraverso l’assunzione implicita di una qualche teoria psicologica, fosse anche una teoria di senso comune, da cui la psicologia e la psichiatria si smarcano solo per aver dato a quel senso comune una sistematizzazione “scientifica”. Pertanto, il come ed il perché conosciamo stabilisce infatti il cosa conosciamo.

1.3.2. La Psicologia dei Costrutti personali: l’individuo e il mondo sociale

La teoria dei costrutti personali sostiene che la persona è un agente responsabile, che ha il controllo delle sue scelte e delle sue decisioni. Anche se ognuno di noi deve confrontarsi con le circostanze, sono le costruzioni che collochiamo su questi eventi a generare le nostre reazioni e non gli eventi stessi. Detto molto semplicemente, ma anche in modo non totalmente preciso, per facilitare la comprensione possiamo dire che i significati che attribuiamo al mondo sono regole per il nostro agire. Per George Kelly, il segreto della personalità consiste nel comprendere i modi estremamente individuali in cui le persone danno un senso alle cose che affrontano o cercano di fronteggiare.

Questa attenzione per la prospettiva individuale è caratteristica della visione fenomenologica, che consiste nel cercare di vedere le cose attraverso gli occhi delle differenti persone invece di inserirle a fatica dentro qualche teoria pre-esistente all’osservatore. Per l’attenzione rivolta al “movimento” che la persona cerca di sviluppare nella sua vita, o, per semplificare, alla “capacità di azione”, la Teoria dei Costrutti Personali viene considerata appartenente alla psicologia umanistica.

Questo approdo a cui la Psicologia dei Costrutti personali è arrivata, avviene all’interno di un dibattito che prende le mosse dal costruzionismo sociale e dalla psicologia critica. Infatti, nel costruzionismo sociale e nella psicologia critica contemporanee troviamo molte critiche all’individualismo americano. È interessate osservare che i pragmatisti sostenevano che le idee hanno un’origine sociale: non sono semplicemente appartenenti ad individui. Diversamente dal costruzionismo sociale contemporaneo, i pragmatisti credevano che gli individui esercitassero un certo grado di capacità di azione e di scelta morale. Ciò nonostante gli individui sono un prodotto sociale e non compaiono già costruiti in una società che precedono.

Fu George Mead a dare il maggior contributo ad una psicologia capace di articolarsi rispetto ai mondi in cui si incastona l’umanità di un essere umano: quello individuale e quello sociale. Una delle influenze più importanti su Mead fu l’opera di Darwin. Si ritiene spesso, erroneamente, che Darwin sia stato il primo a sostenere l’evoluzione della specie; di fatto, molti scienziati dei primi del diciannovesimo secolo avevano avanzato questa ipotesi: la contingenza e il caso combinate con le richieste dell’ambiente determinano la produzione di nuove varietà di piante e animali. L’adattamento era pertanto il tema chiave dell’evoluzione. Il fascino esercitato da questa possibilità sui pragmatisti fu enorme, tanto che per loro anche le idee e le teorie dovevano essere viste nei termini della loro funzione nell’ambiente. Ciò che affascinava Mead era l’evoluzione dell’individuo dotato di mente: l’animale umano consapevole.

Mead era fortemente scettico rispetto al dualismo cartesiano che ipotizza una mente (res cogitans) fatta di una “sostanza” diversa dal corpo (res extensa) e faceva una distinzione fra sistemi fisici, vitali e mentali che si sovrappongono nella vita dell’essere umano. Le qualità distintamente umane dell’esperienza sono radicate nelle attività vitali della vita, che, a loro volta, sono radicate nel materiale di ordine fisico. In altri termini, facendo un esempio, non possiamo liquidare le interazioni tra persone che si amano come meramente finalizzate ala riproduzione della specie; è anche questo, ma non solo questo. Proprio tale aspetto intendeva Kelly per costruzione psicologica anziché biologica. La coscienza e tutte le sue ramificazioni, sono proprietà emergenti. Appartengono al sintema mentale, o all’ordine umano, sono radicate nell’ordine vitale, ma non possono essere ridotte ad esso. Mead definiva l’emergenza come la presenza di cose in due o più differenti sistemi, in modo tale che la propria presenza nel sistema successivo cambiasse il carattere di questo rispetto al sistema o nei sistemi precedenti. Secondo Mead l’ordine umano è essenzialmente sociale. La società precede gli individui che la compongono. La psicologia sociale ortodossa è iniziata con l’idea che gli individui fossero atomi sociali che si uniscono in interazioni sociali per formare una società. Mead suggeriva un punto di vista opposto: la coscienza individuale è una proprietà emergente che evolve a seguito del suo valore adattativo nell’ambiente. Diventiamo coscienti e riflettiamo sui nostri atteggiamenti verso gli altri per il valore che ciò riveste nell’aiutarci ad anticipare. Siamo, cioè, consapevoli dei nostri atteggiamenti perché sono responsabili dei cambiamenti della condotta di altri individui. La reazione di un essere umano verso le condizioni metereologiche non ha alcuna influenza sul tempo. Affinché la sua condotta abbia successo è importante che sia consapevole dei segnali di pioggia o di bel tempo, non dei suoi atteggiamenti o delle sue abitudini di risposta. Il successo nella condotta sociale porta in un campo in cui la coscienza dei propri atteggiamenti aiuta a controllare la condotta degli altri.

Il significato scaturisce dall’azione: i sentimenti di disponibilità a prendere o leggere un libro, a saltare un fosso, a scagliare una pietra, ecc …, sono la materia dalla quale nasce un senso del significato del libro, del fosso, della pietra. Anche i sentimenti e le emozioni sono basati sull’azione: «Ci risvegliamo all’ostilità nell’atteggiamento del nostro vicino con la tendenza ad attaccare o ad assumere un atteggiamento di difesa. Diventiamo consapevoli della direzione della linea di marcia di un’altra persona con la tendenza a fare un passo da una parte o dall’altra».

Attraverso la cooperazione gli esseri umani hanno elaborato le conversazioni di gesti che vediamo in altre specie. Tuttavia, gli animali rispondono l’uno all’altro in un modo che non richiede una riflessione consapevole. Le persone hanno sviluppato questa conversazione di gesti così da poter cooperare in modo complesso. La consapevolezza emerge però quando cominciamo a metterci nei panni degli altri allo scopo di dare un senso alle loro azioni. Le persone non interagiscono soltanto per mezzo dei gesti, usano i simboli di un linguaggio comune per comunicare messaggi straordinariamente complessi. I simboli non hanno alcun rapporto naturale con i loro referenti; la loro relazione è del tutto arbitraria. Le parole “cane”, “dog”, “chien” non rappresentano l’animale reale come una fotografia; e ciò che viene trasmesso per mezzo di sostantivi astratti come “invidia”, “gelosia” e “depressione” è ancora più sottile e complicato. Persuadiamo, imploriamo, plachiamo, irritiamo e lusinghiamo, non solo per ciò che diciamo, ma per come lo diciamo. Gesti e simboli si combinano. Per poter avere effetto sugli altri, è di aiuto la capacità di valutare il mondo dal loro punto di vista. Proprio in ragione di ciò Mead è ricordato, in quanto ha reso esplicito che assumere il ruolo dell’altro è fondamentale per avere un’interazione sociale. Questa evidenza, è stata estremamente importante per la Teoria dei costrutti personali di G. Kelly che su questo aspetto è sia prescrittiva che descrittiva: dovremmo metterci in relazione con gli altri trattandoli non come oggetti, bensì come esseri che, come noi, costruiscono attivamente e attribuiscono un senso al mondo e a se stessi.

1.3.3. Una psicologia con le persone

Il pragmatismo è, dunque, un’epistemologia che ispira le prassi di una psicologia il cui interesse prevalente è rappresentato dalle persone. Non cerca, come il comportamentismo, di estrapolare leggi derivandole dai topi e dai piccioni. È interessata alla persona nel suo complesso, non a ipotetiche pulsioni o motivazioni interne all’individuo. Non separa il comportamento, la cognizione e l’emozione, esse sono tutte unite nell’azione umana. Sottolinea l’interazione tra le persone piuttosto che ciò che accade “dentro” o “fuori” di loro. La scienza consiste nell’assumere un controllo sul mondo: sviluppiamo dei metodi e dei vocabolari che funzionano ed è in questo modo che la scienza ha fatto tanti progressi. Tuttavia, non esiste niente che non possa essere descritto e rappresentato in maniera diversa. Non dovremmo perdere tempo a chiederci qual è l’immagine o la descrizione corretta. Dovremmo, al contrario, accettare che costruzioni alternative possano essere utili per scopi differenti.

Noi, personalmente, non abbiamo nulla contro le altre teorie, ma invitiamo il lettore ad un’avventura teorica. Non dovrebbe gettare a mare le vecchie teorie a favore della nuova. Sarebbe saggio, invece, mettere alla prova nuove idee, verificandole per tutto il tempo necessario nei termini delle loro implicazioni pratiche. Sono utili?

Gran parte della psicologia è interessata a processi comuni a tutte le persone. Ciò è perfettamente legittimo, ma la Psicologia dei costrutti personali è una teoria della personalità, interessata quindi alle azioni della persona nel suo complesso: è l’organizzazione dei processi in particolari persone ad interessarci. Pertanto, la questione dell’etica risulta fondante questo stesso modo di far psicologia, cioè di condurre un discorso sull’umano e sulla sua “umanità”.

La psicologia accademica ha la tendenza di pensare alla persona nei termini di processi separati: pensiero, emozione e comportamento. Impiega molto tempo e molti sforzi ad elaborare spiegazioni causalistiche, cioè su che cosa causi cosa. Il comportamentismo, ad esempio, afferma il primato del comportamento sull’emozione e la cognizione: il modo in cui le persone sentono arriva sulla scia di come agiscono. La psicologia cognitiva sostiene che il modo in cui elaboriamo le informazioni conduce sia all’azione che alla sensazione. Tuttavia, Noi, insieme a Kelly, non partiamo dall’assunto di una distinzione tra cognizione, emozione e comportamento. Quando sono affascinato o interessato da qualcosa, è come se il mio intero essere fosse assorbito da essa. È un’astrazione della mia esperienza quella che porta a separare il pensiero, l’emozione e l’azione. Per tale ragione, Kelly si riferisce ai processi di una persona e non al modo in cui la persona pensa, sente e agisce. E questi processi non sono causati da qualcosa. Non esistono caratteristiche causali deterministiche che ci permettano di prevedere come gli individui reagiranno agli eventi. Al contrario, i processi sono canalizzati, ossia, se la persona è una forma di movimento, fa sempre qualcosa, è sempre impegnata in qualche progetto: finché siamo vivi, siamo impegnati a dare un senso alle cose.

Deliberatamente abbiamo scelto di non ipotizzare forze motivazionali. Altre teorie sono interessate ai “tira e molla” del comportamento, considerando incentivi ambientali, condizioni situazionali, forze profonde dentro di noi responsabili del modo in cui rispondiamo. Kelly suggerì, invece, che potremmo non pensare all’azione come risposta. Nella psicologia ortodossa, i termini risposta e comportamento sono diventati quasi sinonimi, poiché l’unità di analisi sulla quale è stata costruita la complessa azione umana è diventata il semplice comportamento animale. Però, i nostri processi non sono risposte, bensì indici di anticipazione. Sulla base della loro esperienza, le persone costruiscono ipotetici mondi e agiscono di conseguenza.

L’azione umana, pertanto, non può essere pensata nei termini di un comportamento determinato da stimoli. Il che non significa che ogni individuo viva in un sogno privato, non toccato dal mondo degli eventi. Il mondo ha un impatto su di noi, ma non in maniera grezzamente deterministica: il modo in cui pensiamo, sentiamo e agiamo non è determinato dalle cose che ci accadono. Sicuramente il mondo influisce su di noi, ma sempre con la mediazione del modo particolare in cui ogni persona lo interpreta. È il modo in cui interpretiamo gli eventi che conta. E questo è ciò che si intende per approccio fenomenologico o umanista. Quello che a Noi interessa è, quindi, fondare l’agente dell’azione umana: il soggetto. Senza il quale non potrebbe darsi un discorso sull’Etica e nemmeno sull’umanità degli esseri umani.

Conclusioni

La Psicologia, almeno quale viene proposta oggi agli studenti nelle nostre facoltà, consiste in un ammasso piuttosto confuso di “cose” di diverso genere che non trovano alcun reale punto di coordinamento. O, peggio ancora, lo troviamo soltanto nel fatto “burocratico” che esiste un corso di laurea in psicologia e una serie di “ruoli sociali” che danno fisionomia ad una, per altro fantasmatica, figura di “psicologo”.

La psicologia appare essere una delle tante stramberie da mettere in carico alla modernità e solo gradualmente ci si rende conto che codesta “stramberia” nasconde delle insidie cui il filosofo non può restare assolutamente indifferente.

Non è certamente il “detto” della psicologia a far problema. Nel suo “detto” ci sta, infatti, tutto e il contrario di tutto e, dal punto di vista “scientifico”, gli psicologi si annullano a vicenda. Tuttavia, la miseria del “detto” non impedisce alla psicologia di situarsi in un “non detto” che la rende culturalmente operante anche al di fuori di quello che il suo “detto” potrebbe autorizzare.

Per farla breve, la psicologia genera l’illusione di una scienza della vita soggettiva degli esseri umani. Di una “scienza”, cioè, che non è assolutamente pensabile nei termini in cui siamo oggi abituati a pensare una scienza, in quanto il suo oggetto (la vita soggettiva) non può prodursi che per un soggetto determinato (colui che “vive” la propria “vita soggettiva”). Ovviamente, la psicologia in quanto tale non formula in questi termini la propria questione e introduce, di fatto, varie specie di procedure congetturali idonee a far sorgere nuove forme di oggettualità in cui la “vita soggettiva” degli esseri umani diverrebbe “oggettivamente osservabile”. Detto diversamente, la psicologia si occupa della vita soggettiva “come se non fosse soggettiva”. E non vi sarebbe nulla di male in questo, se, ad un certo punto, non si scordasse di quello che fa e, forte solo di questa dimenticanza, pretendesse di fornire la “chiarificazione oggettiva” di ciò che, in effetti, resta radicalmente “soggettivo”. Tutto questo è, sempre, culturalmente disastroso e, assai spesso, per le pratiche che può autorizzare, moralmente inaccettabile.

Il fatto è che della vita soggettiva degli umani non esiste altro “sapere” che quello che il soggetto stesso può produrre, ma non è certo nella forma di una “psicologia” che un tale “sapere” può trovare configurazione. Si tratta, piuttosto, della forma di un’etica, della forma cioè in cui la filosofia l’ha sempre pensata, almeno fino al “punto di arresto cartesiano”.

È sulla scia di tali considerazioni che abbiamo voluto fornire una riconsiderazione complessiva dell’ Etica classica, tentando di non tradirne né lo spirito né la lettera. La questione del soggetto non è oggi una pura questione teorica. Il fallimento della “psicologia scientifica” era una fatalità inscritta nelle sue stesse premesse. Purtroppo, di tale fallimento si rischia di equivocare la portata qualora lo si voglia considerare come un semplice momento interno della storia di una “scienza”, destinato ad essere ricompreso e riassorbito in “nuovi sviluppi” delle scienze psicologiche.

La crisi della psicologia è la crisi di ogni sapere che tenti di definire una “verità dell’umano” sottratta a quell’articolazione di senso che solo l’operare soggettivo può produrre e sostenere. È la crisi, più in generale, di quel “sapere” nelle cui forme il grande “marchingegno politico” della modernità simula una scienza alle proprie burocrazie.

Nello spazio aperto da questa crisi, la nostra riflessione vuole proporre il proprio intervento, presentando una serie di argomentazioni volte a disvelare la struttura irriducibile dei “campi del soggetto”.

 

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