Wacquant, L. (2002),
Anima e corpo. La fabbrica dei pugili
nel ghetto nero americano, Roma, DeriveApprodi.
Recensione di Giuseppe Scandurra
Abstract
Il saggio di Loic Wacquant tratta di un gruppo di pugili immigrati, delle loro prati-
che di vita e della palestra che frequentano quotidianamente in un ghetto nero di
Chicago. E’ una riflessione sulla boxe e sulla sua funzione pedagogica.
Parole chiave: boxe; aspetti pedagogici; interculturalità
_____________________________________________________________
Wacquant entra in una palestra di pugilato per caso. Sua intenzione, una volta presa casa sul confine tra l’Università di Chicago e il quartiere nero di Woodlawn, nel South Side della città, era scrivere del ghetto nero con lo scopo di decostruire false interpretazioni circa quest’ultimo a partire dal concetto di “underclass”, termine sempre più usato, anche dalle scienze sociali, per nascondere la dominazione bianca e le responsabilità delle autorità in questo territorio spostando l’attenzione della classe media americana sul comportamento antisociale degli abitanti del ghetto. Solo una volta entrato in palestra lo studioso decide di fare della boxe il suo oggetto di ricerca. Wacquant non esita a definire il suo lavoro un esperimento scientifico. Analizzare le pratiche di vita quotidiane di frequentatori abituali di una palestra di pugilato nel cuore del ghetto nero di Chicago significa considerare questi agenti sociali, prima di tutto, essere fatti di carne. Ciò obbliga il ricercatore a praticare una sociologia che restituisca una dimensione carnale dell’esistenza e, allo stesso tempo, fare del corpo, del corpo stesso dell’autore – il quale salirà sul ring alla fine di un duro apprendistato in palestra – uno strumento di conoscenza e non solo un oggetto di studio. L’opera di Wacquant si compone di tre parti. Nella prima lo studioso concentra lo sguardo sui rapporti che legano la strada – la cultura di strada – al ring – il mondo della palestra. Al centro della seconda parte vi è la descrizione etnografica di una riunione pugilistica. Nella terza parte, infine, Wacquant racconta il suo combattimento, il suo primo e ultimo incontro sul ring. Lo studioso francese sarà costretto ad affrontare tre prove per guadagnare il suo ingresso al campo, conquistare determinati rapporti di fiducia, uscire dal campo e scrivere la sua etnografia. Innanzitutto, apprendere questo sport; poi, utilizzare la palestra come finestra per studiare il ghetto, non isolando l’oggetto di ricerca ma mettendo la palestra in relazione con il contesto urbano che la circonda; per ultimo, riuscire a tradurre gli odori, i rumori, la musica della palestra in un linguaggio accademico, privo di senso musicale e spesso di carnalità. Per quanto concerne il materiale usato, lo studioso francese, oltre a ricostruire le storie di vita dei principali membri della palestra – il Boys and Girls Club di Woodlawn, sito sulla 63° strada, una delle più devastate dal quartiere -, oltre a centinaia di conversazioni approfondite con pugili in attività, professionisti, allenatori e manager, raccoglie pagine e pagine di riviste specializzate, biografie e autobiografie di pugili, romanzi sulla boxe, visitando decine di altre palestre negli Stati Uniti ma anche nel vecchio continente. Per quanto riguarda il suo posizionamento, una volta conquistati i rapporti di fiducia con lo storico allenatore della palestra, DeeDee e i suoi pugili, Wacquant sceglie di guardare il mondo del pugilato da tutte le angolazioni possibili – pugile, allenatore, fotografo, assistente all’angolo, partner di sparring, supporter; seguendo, inoltre, i protagonisti della sua ricerca fuori dalla palestra, nelle loro case, alla ricerca di un lavoro nel quartiere o mentre sono impegnati a fare affari all’interno del ghetto. Obiettivo dello studioso è evitare lo sguardo esotico attraverso il quale si è solitamente rappresentato il mondo del pugilato. Concentrarsi, invece, sullo spazio della palestra, sulle pratiche di vita quotidiane di un gruppo di pugili che probabilmente non diverranno mai campioni del mondo ma, per salire sul ring e acquisire l’habitus pugilistico, hanno dovuto allenarsi duramente, riprodurre quotidianamente le credenze che alimentano questa disciplina sportiva.
Scientificamente parlando, infatti, non è possibile, per Wacquant, studiare la boxe senza studiare la palestra, come non è possibile, per Durkheim, comprendere una religione istituzionale come il cattolicesimo senza comprendere la struttura e il funzionamento dell’organizzazione che la sostiene, nello specifico la Chiesa romana. Il gym – questo il termine usato nei paesi anglofoni – che descrive Wacquant soprattutto nella prima parte della sua opera, è un’istituzione complessa e polisemia, sovraccarica di funzioni non si svelano a prima vista all’osservatore. Se da una parte è necessariamente il luogo dove prende forma il corpo del pugile, dall’altra il gym è anche il santuario che allontana i giovani del ghetto dalla strada e insegna loro l’autodisciplina. Da questo punto di vista il ghetto e il gym si trovano in una relazione di continuità – i migliori pugili non possono che venire dalla strada – ma anche di antagonismo – l’allenatore DeeDee è il primo che spiega ai pugili appena entrati la differenza tra “fare a botte” e “boxare”. Ma il gym è anche la finestra per leggere i flussi migratori che caratterizzano il territorio statunitense, visto che la maggior parte dei pugili proviene dalle classi popolari e, a Chicago, è stata prima irlandese, a seguire ebraica dell’Europa centrale, poi italiana, nera e, più recentemente, ispanica. Per tutti questi agenti sociali la palestra di Woodlawn ha rappresentato un’istituzione semi-totale, che ha condizionato la loro fruizione del tempo e dello spazio, la gestione del corpo e i loro desideri. Il rapporto stesso che i pugili hanno con l’allenatore DeeDee assume le caratteristiche di una relazione padre-figlio – e qui forse sta la debolezza del lavoro di Wacquant, il quale dedica troppa poca attenzione a quanto questo rapporto così intenso possa trascendere in una dipendenza affettiva e in un una relazione di totale abbandono all’autorità “paterna”, che decide il destino delle loro carriere. La Nobile Arte – e forse qui sta la maggiore intuizione di Wacquant – assomiglia a tutto per tutto a un mestiere manuale qualificato e ripetitivo, un’occupazione per sottoproletari, il che spiega perché molti pugili considerino questo sport un duro lavoro – non a caso Wacquant descrive quasi pornograficamente i sacrifici richiesti ai pugili della palestra, che investono anche gli ambiti della sfera privata. Ma la seconda grande intuizione di Wacquant è quella di concentrare lo sguardo, soprattutto nelle ultime due parti del libro, su come il pugilato venga insegnato. La Nobile Arte, infatti, il suo processo di insegnamento/apprendimento, decostruisce determinate dicotomie spesso usate anche nelle scienze sociali. Innanzitutto, la boxe costituisce il paradosso di uno sport individuale il cui apprendimento non può che essere collettivo. Infine, non può essere appresa tramite manuali, poiché un colpo si impara solo ripetendo un gesto per migliaia di volte, a dimostrazione di come – e qui Wacquant rilegge alcuni passaggi di Bourdieu e di Mauss – l’insegnamento di una pratica corporea racchiude un insieme di questioni teoriche della massima importanza, nella misura in cui le scienze sociali si sforzano di teorizzare dei comportamenti che si producono, nella stragrande maggioranza dei casi, al di qua della coscienza. L’opera di Wacquant, infine, ha il pregio di mettere insieme linguaggi diversi, quello sociologico, quello prettamente etnografico, quello narrativo. Non a caso le ultime pagine toccano il cuore del lettore non solo dal punto di vista scientifico, piuttosto dal punto di vista emotivo. La palestra di Woodlawn, infatti, chiuderà i battenti dopo che Wacquant ha condotto la ricerca. Uno dei suoi pugili commenterà, una volta saputo dell’imminente chiusura: “Sarebbe come rubare ai bambini la loro casa. Ci sono un sacco di giovani nel quartiere, lo sai, che si trascinano in strada. Ci sono ragazzi più grandi, che provano a smetterla con la bottiglia, lasciare perdere le canne, la droga e quella roba lì, che vengono in sala, a cercare di darsi una ripulita”. Ma prima dell’abbattimento del gym, Wacquant riuscirà a salire sul ring e a disputare il suo primo e forse ultimo incontro. Le ultime parole, infatti, spetteranno proprio al suo allenatore, il quale, dopo averlo visto combattere dall’angolo, gli dirà: “Non ci sarà una prossima volta. Hai fatto il tuo incontro. Ne hai abbastanza per scrivere quel tuo cavolo di libro, adesso. Non hai bisogno di salire sul ring, tu”