La scomparsa dei riti (Byung-Chul Han)

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I testi di Byung-Chul Han non si dispiegano secondo una traiettoria argomentativa lineare e sequenziale. Si presentano piuttosto come un mosaico di intuizioni e suggestioni. Il lettore implicitamente è invitato o costretto a produrre, a sua volta, proprie associazioni che in qualche modo possono dare una forma più compiuta al testo che va leggendo. Non perché i “punti forti” sostenuti dal filosofo coreano non emergano ma perché ciò che da essi discende meriterebbe approfondimenti che la struttura del libro, dettata probabilmente anche da scelte editoriali, lascia in qualche modo in sospeso. Se l’epoca dei riti è tramontata e con essa la nozione tradizionale di comunità come unità simbolicamente interconnessa, è ancora possibile la costruzione di uno spazio collettivo di azione simbolica condivisa? E su quali basi nuove dovrebbe fondarsi?

“I riti sono azioni simboliche. Tramandano e rappresentano quei valori e quegli ordinamenti che sorreggono una comunità. Creano una comunità senza comunicazione, mentre oggi domina una comunicazione senza comunità. A costituire i riti è la percezione simbolica. Il simbolo (dal greco symbolon) indica originariamente il segno di riconoscimento tra ospiti (tessera hospitalis). L’ospite spezza a metà una tavoletta d’argilla e ne dà un pezzo all’altra persona in segno di ospitalità. In tal modo il simbolo serve per il riconoscimento. […] La percezione simbolica, intesa come riconoscimento, percepisce ciò che dura: il mondo viene liberato dalla propria contingenza e ottiene un che di permanente. Oggi il mondo è assai povero di simboli: i dati e le informazioni non possiedono alcuna forza simbolica, per cui non consentono il riconoscimento. Nel vuoto simbolico si perdono quelle immagini e quelle metafore capaci di dare fondamento al senso e alla comunità, stabilizzando la vita. L’esperienza della durata si attenua, mentre la contingenza aumenta radicalmente.”

Byung-Chul Han, La scomparsa dei riti, Nottetempo, 2021.

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