
- Pensieri psicoterapeutici
- da interattivamente
- 8 Maggio 2013
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L’identità personale
L’identità personale non è qualcosa di unitario e di stabile nel tempo e nelle differenti situazioni. L’identità di ciascuno è biograficamente mutevole, adeguandosi ai diversi ruoli, impersonandone sentimenti e comportamenti. Lo sforzo di integrazione tra le diverse espressioni dell’identità personale dà un senso di continuità e di stabilità solo apparente: dietro di esso, infatti, ognuno di noi sa di sperimentare un’immagine di sé contraddittoria, ora discontinua, ora conflittuale, la cui coerenza è data solo dall’effetto di verosimiglianza di una narrazione. In più, l’identità non è un fatto privato, in quanto è influenzata dalle relazioni interpersonali significative, dai contesti di appartenenza e da come ogni individuo decide di adeguare il suo modo di essere ad una certa immagine pubblica e storica del personaggio attraverso cui si identifica e vuole essere riconosciuto.Rispetto alla psicologia tradizionale (Mecacci, 1999; Fasola, 2005; Ruspini e Inghilleri, 2008; Salvini e Dondoni, 2011), la prospettiva interazionista preferisce adottare il costrutto di identità in luogo di quello di personalità. Per la psicologia tradizionale la personalità è data da un insieme di caratteristiche stabili specifiche astoriche ed acontestuali che risiedono all’interno di ogni individuo. Per la psicologia interazionista, il costrutto di identità costituisce un nodo interattivo fra aspetti quali ruolo, rappresentazioni di sé e configurazioni di realtà. Essa è intesa come il risultato di diverse funzioni psicologiche, intrapersonali ed interpersonali che confluiscono in un processo organizzatore della conoscenza personale relativa a se stessi. L’identità è dunque anche quell’insieme di sensibilità proprie attive e sensomotorie, di routine di movimenti e di modalità espressive. Se la “personalità” costituisce un valido espediente retorico per costruire diagnosi, essa appare un costrutto inadeguato per permettere la comprensione delle ragioni dell’agire sociale e personale all’interno di comunità complesse (Ruspini e Inghilleri, 2008).Attraverso l’identità personale gli esseri umani non solo hanno un’esperienza cognitiva ed emotiva di sé ma sono in grado sia di elaborare ed integrare in modo coerente l’informazione esterna ed interna che li riguarda, come ad esempio quella somatica (propriocettiva e dimorfica) e relazionale (simbolica, espressiva e comportamentale), sia di codificarla sotto forma di memoria autobiografica, conferendo alla storia soggettiva coerenza retrospettiva e continuità futura, sia di selezionare ed attuare i repertori di comportamento più adeguati alla propria identità di genere, sviluppando le relative competenze socialmente trasmesse (Salvini, 1993).L’identità personale è anche un sistema di regole e di segni condivisi, attraverso cui l’individuo costruisce e dà vita a un’identità sociale. Mediante la capacità di utilizzare regole e significati, come ad esempio quelli relativi all’immagine di sé, l’individuo realizza atti comunicativi, producendo versioni di sé adatte al contesto e alle diverse forme di interazione e generando una vera e propria teoria su se stesso. L’identità personale risulta essere, infatti, sostenuta e realizzata attraverso due processi fondamentali: l’ autoconsapevolezza, ovvero il flusso di esperienza soggettiva che ogni essere umano sperimenta, e l’autoregolazione, intesa come capacità riflessiva di automonitoraggio, corrispondente alla percezione che un essere umano ha di sé e delle proprie azioni. Per un individuo essere consapevole o essere a conoscenza di qualcosa corrisponde ad indicarsela. La persona è quindi in costante interazione con se stessa attraverso un processo sociale nel quale si dà indicazioni che usa per dirigere la propria azione: i significati che attribuiamo al mondo sono pertanto regole per il nostro agire.