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- 11 Maggio 2005
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Precursori Biologici e Identità di Genere
La differenziazione sessuale del sistema nervoso ed il ruolo svolto dagli ormoni sessuali in funzione del meccanismo genetico, nonché le modificazioni neuronali indotte dai processi di apprendimento, visti anche in relazione ai meccanismi socio-psicologici e culturali che organizzano il comportamento maschile e femminile proprio dell’identità di genere, costituiscono gli assi portanti della ricerca attuale.
Neurobiologi, neuroendocrinologi e psicologi da una parte, e medici, sessuologi e antropologi dall’altra, hanno dato vita ad un incontro di conoscenze multidisciplinari.
Meccanismi genetici, disposizioni embrionali, aspetti psicologici, comportamenti socialmente modellati e biologicamente vincolati danno luogo ad un intreccio il cui risultato sono le differenze sessuali tra maschio e femmina che poi consentono i diversi modi di essere uomo o donna.
La sintesi delle acquisizioni sperimentali, delle ricerche empiriche e delle evidenze cliniche, come dei fatti socio-antropologici, che voglia comunque privilegiare l’aspetto psicobiologico porta all’evidenza quanto segue.
La componente neuroendocrina
Lo sviluppo di comportamenti sessuali dimorfici è basato su differenze anatomiche, fisiologiche e psicologiche, preordinate o apprese da particolari reti neuronali che si differenziano sotto l’influenza di eventi legati allo sviluppo secondo tre stadi ontogenetici:
1. formazione delle sinapsi sotto controllo genetico;
2. realizzazione di un’efficacia funzionale durante periodi critici, in concomitanza di stimolazioni endogene e poi ambientali;
3. regolazione dell’efficacia sinaptica a breve e a lungo termine.
La differenziazione sessuale è un esempio della plasticità del sistema nervoso, una caratteristica che si esalta nel corso di certi periodi critici, come nella vita fetale. In ciascuno stadio di differenziazione si realizza una determinata “scelta” tra le alternative di sviluppo sessuale, di cui poi diviene difficile o impossibile invertire la direzione.
Il fenotipo sessuale cerebrale viene determinato in misura notevole dall’esposizione ad ormoni steroidi durante la fase fetale: in un periodo critico prenatale, definite aree cerebrali, come l’ipotalamo, sviluppano una particolare sensibilità verso i distinti ormoni sessuali stereoidei. Tali acquisizioni non possono essere estese alla specie umana se non in via congetturale. E’ da considerare che, negli esseri umani, l’eredità culturale, cioè la trasmissione non genetica di specifici comportamenti sessuali da una generazione all’altra, è operante come espediente adattativi complementare o, talvolta, sostitutivo rispetto a quanto geneticamente preordinato.
Come è ormai acquisito e ben noto, gli ormoni gonadici svolgono una duplice funzione organizzatrice. Vale la pena di ricordare il controllo effettuato da questi ormoni sullo sviluppo dimorfico del feto a partire dalla settima-ottava settimana. Fino ad allora il feto è potenzialmente bisessuale, prescindendo dal sesso genetico. Nel feto geneticamente maschio il fattore inibente il sistema di Müller blocca lo sviluppo femminile, producendo un’involuzione dei relativi organi interni tendenzialmente femminili, che da allora in poi si svilupperanno in direzione maschile con il contributo degli androgeni.
Un altro momento della funzione organizzatrice coincide con la pubertà, quando le cellule ipotalamiche, stimolando la parte anteriore dell’ipofisi a produrre ed a rilasciare due ormoni gonadotropi (FSH e LH), fanno sì che le gonadi producano i relativi ormoni sessuali. La mescola differenziata di androgeni, estrogeni e gestageni induce la maturazione sessuale e la comparsa dei caratteri sessuali secondari, rendendo disponibile la capacità riproduttiva.
E’ noto che gli ormoni sessuali hanno influenze diverse sul maschio e sulla femmina, in relazione all’attività organizzatrice degli androgeni sullo sviluppo fetale. E’ da ricordare che, in assenza di androgeni, la natura produce una femmina. La somministrazione prenatale di androgeni (nei periodi critici) predispone l’organismo animale a un comportamento maschile (indipendentemente dal sesso genetico), mentre la loro assenza predispone ad un comportamento femminile.
Esperimenti su animali, anomalie nella mescola ormonale ed effetti iatrogeni di farmaci in donne gravide, hanno consentito di accumulare prove a sostegno del ruolo organizzatore ed attivante degli ormoni sessuali nello sviluppo dimorfico dell’organismo.
Tuttavia, per quanto riguarda il comportamento, le differenze riscontrate tra gli animali a ciclo estrale e quelli a ciclo mestruale, e tra i primati e l’uomo, non hanno consentito di estendere a quest’ultimo i risultati sperimentali. E’ l’organizzazione maschile e femminile del cervello umano, preordinata biologicamente e modellata dall’apprendimento, che consente l’attuazione di schemi di comportamento sessuali e dimorfici. Per esempio, dal momento che il corpo di una donna è stato organizzato al femminile, gli effetti attivanti degli ormoni sessuali saranno differenti da quelli osservabili in un maschio per quanto concerne la direzione del desiderio sessuale.
Se è vero che la somministrazione di steroidi anabolizzanti nelle donne atlete produce un cambiamento nei caratteri sessuali secondari in senso maschile (timbro più basso della voce, meno pannicolo adiposo e più muscoli), è però altrettanto vero che non modifica l’orientamento sessuale di queste donne. Per cui il desiderio rimarrà eterosessuale, in virtù dell’imprinting educativo-relazionale sul sistema nervoso, e risulterà più vivace per l’azione dell’androgeno. Detto altrimenti, l’identità ed il ruolo sessuale di un individuo (cioè la concezione che ha di sé come maschio o femmina, con la conseguente espressione nel comportamento e nel suo modo di presentarsi) possono essere contrari al suo sesso genetico o al tipo di esposizione ormonale del suo sistema nervoso in fase di sviluppo.
La componente dell’apprendimento e l’autoidentificazione
Esperimenti eticamente impossibili sull’uomo vengono talvolta realizzati da “madre natura” o sono il risultato di effetti iatrogeni. Lo sguardo degli studiosi si è concentrato su tre gruppi di soggetti:
1. maschi gonadici il cui organismo reagisce parzialmente agli androgeni, sia prima che dopo la nascita e che pertanto risultano ipoandrogenizzati per tutta la vita;
2. femmine gonadiche la cui corteccia surrenale si androgenizza prima e anche dopo la nascita;
3. femmine gonadiche, nate negli anni ’50, androgenizzate da progesterone sintetico somministrato alle madri durante la gravidanza per evitare l’aborto.
I ricercatori Money ed Ehrhardt hanno riferito su 10 bambine le cui madri erano state appunto trattate con un gestageno di sintesi per prevenire l’aborto e di cui successivamente si scoprì l’effetto androgenizzate. Queste bambine presentavano alla nascita ipertrofia della clitoride e fusione parziale delle grandi labbra, come se queste avessero dovuto evolvere in uno scroto (cosa del resto possibile, data la comune origine embrionale). Un quadro analogo è riscontrabile nei soggetti di sesso femminile che sviluppano una sindrome adrenogenitale a causa di un’eccessiva produzione di androgeni da parte della corteccia surrenale. Nonostante un più marcato interesse, durante l’infanzia di questi soggetti, verso giochi ritenuti convenzionalmente maschili, non è stata poi rilevata alcuna anomalia nell’orientamento eterosessuale adulto. Inoltre, madri diabetiche trattate con estrogeni durante la gravidanza per la prevenzione dell’aborto hanno dato alla luce figli di sesso maschile che, studiati dall’età di 16 anni, presentavano un orientamento e un’identità sessuali consueti.
La sindrome da insensibilità agli androgeni è un altro significativo esempio dell’importanza del sesso assegnato e del ruolo strutturante dell’autoidentificazione. Questa sindrome, che equivale ad una castrazione prenatale nel maschio, fa sì che i soggetti geneticamente maschi sviluppino un corpo femminile in quanto il testosterone prodotto non è in grado di farlo evolvere in senso maschile. Nonostatnte questi soggetti siano geneticamente maschi, mentre il corpo ha connotazioni marcatamente femminili (ma l’utero è atrofico e la vagina rudimentale), se vengono allevati come femmine, si comportano come tali: il desiderio sessuali e la capacità di provare orgasmi sono risultati nella media. In questi casi, dunque, l’educazione è in grado di contrastare gli effetti dell’androgenizzazione prenatale.
Mentre è possibile alterare l’anatomia e la mescola ormonale, è impossibile modificare l’identità di genere, ossia quella acquisita attraverso l’educazione autoindotta attraverso l’identificazione. La persona transessuale è l’esempio più eclatante di un individuo che, prescindendo dal sesso genetico, ormonale, morfologico ed assegnato, per cause ancora ignote tende a sviluppare un’autoidentificazione con il sesso opposto, letteralmente autoeducandosi secondo le prescrizioni stereotipiche proprie del sesso prescelto. Pur non potendosi sostenere neanche a livello di congettura che il transessualismo derivi da un qualche meccanismo di apprendimento, sia pure erroneo, o da qualche perturbazione emotiva infantile, è anche vero – rinunciando a qualsiasi ipotesi eziologica – che la persona transessuale si impegna moltissimo nell’impersonare il ruolo di genere verso cui tende. Sotto questo aspetto esso costituisce l’esempio più utile per comprendere come l’espressività propria del ruolo di donna o di uomo non sia affatto il frutto di un’identità femminile o maschile intrapsichica, bensì un corredo costruito attraverso l’impersonificazione con lo stereotipo vigente della femminilità. In altre parole, la persona transessuale si impegna nell’apprendimento di una lingua che sente appropriata all’immagine interiore di sé. Nello studio delle basi biologiche dell’individualità, Kandel avanza l’ipotesi che tutti i comportamenti umani possibili siano già presenti nel sistema nervoso come potenzialità latenti. I fattori ambientali e l’apprendimento permettono l’espressione di queste capacità latenti, modificando l’efficacia di vie preesistenti e generando quindi la possibilità di nuovi tipi di comportamento.