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- da interattivamente
- 11 Gennaio 2023
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Psicoterapia con persone di cultura araba e musulmana
Sono diversi anni che InterattivaMente, Centro di Psicologia giuridica – Sessuologia clinica – Psicoterapia di Padova si occupa di Etnopsicologia. La domanda di psicoterapia che ci è stata indirizzata, nel corso di questo tempo, ha riguardato soprattutto cittadini provenienti dal nord Africa (psicoterapia con persone di cultura araba e musulmana) anche se non sono certamente mancati interventi clinici e psicotrapeutici con persone di nazionalità diverse, originari di altre parti del mondo.
Principale differenza tra cultura occidentale e cultura araba
Una particolare attenzione va comunque rivolta rispetto alla psicoterapia svolta con pazienti di cultura araba e musulmana. Infatti, le differenze culturali producono differenze psichiche profonde, al punto che, in culture diverse, sintomi identici possono indicare patologie distinte e richiedere terapie opposte. I disordini alimentari, per esempio, che nel mondo arabo musulmano sono meno diffusi che in Italia, nel mondo arabo e musulmano indicherebbero difficoltà di relazione, mentre in Occidente sono legati al Sé. Le implicazioni sono radicali. La cultura non è qualcosa che le persone possiedono. E qualcosa che possiede le persone. La differenza fondamentale sarebbe tra la cultura individualista dell’Occidente e quella collettivista-autoritaria degli arabi musulmani, dove la sfera del Sé non si stacca mai dalla famiglia e dalla comunità e pertanto sarebbe opportuno e “saggio” affidare alla famiglia una parte attiva nella terapia e coinvolgere persino lo stesso contesto comunitario: il sistema culturale e famigliare non si cambia, è la cornice all’interno della quale bisogna operare.
Un senso differente alla parola psicoterapia
La psicoterapia non è un luogo dove cambiare la cultura. Non è il luogo per la liberazione della donna o per mettere in discussione la religione. La cultura può non essere un ostacolo, ma una fonte di cambiamento. Però bisogna guadagnare la fiducia del paziente, perché fidarsi vuol dire affidarsi.
Che cosa bisogna fare davanti a una donna sottomessa fino all’annullamento, a un ragazzo paralizzato dalla paura del padre o a un uomo così ansioso da ripetere le sue preghiere fino al fanatismo? La risposta è ovvia: non tentare di correggere, meno che mai di distruggere la cultura dell’altro, cercare invece un’alleanza con il marito aguzzino, il padre tiranno e usare i versetti del Corano. Il libro ne elenca un repertorio: «A un genitore negligente o violento, un terapeuta può citare il versetto: Il bene e i figli sono il decoro della vita presente”. (…) Per favorire il dialogo in una famiglia (…) si può citare il principio islamico di ricevere consigli, sura 38 …
La psicoterapia deve attutire il disagio, non affrontarlo alla radice. E’ opportuno adottare una modalità morbida, in punta di piedi. Le famiglie musulmane in Italia hanno dovuto fare i conti con la nostra cultura, il che non vuol dire che le donne sono diventate femministe, le famiglie aperte e i figli ribelli, ma già il fatto che chiedano aiuto è un passo grandissimo.
Centralità del contesto religioso
L’ altro elemento centrale è la religione. L’ Islam è fondamentale. È Dio che nella cultura araba musulmana guarisce. Non il medico. Il medico dà la speranza. La relazione medico paziente, cioè, è sempre mediata da altri elementi, la famiglia, la comunità, Allah. Il concetto di Sé autonomo per gli arabi davvero non esiste: se il paziente si affida è perché pensa che è Allah ad avere permesso l’incontro.
In qualche caso la religione può essere però anche un sintomo. Tra i musulmani i disturbi d’ansia spesso sono mascherati dai rituali di purificazione e dalle credenze religiose. La preghiera, che l’Islam prescrive di ripetere cinque volte al giorno, può nascondere e al contempo mostrare problematiche di tipo ossessivo-compulsivo.
Le difficoltà di uno psicoterapeuta occidentale
Le più grandi difficoltà che uno psicoterapeuta occidentale può incontrare sono le questioni legate all’uso della lingua: condurre una psicoterapia in inglese, in francese o in italiano, offre delle insidie di comprensione notevole, per cui sarebbe sempre preferibile svolgere una psicoterapia nella propria lingua madre. Anche utilizzare un mediatore linguistico non semplifica il problema: vi è sempre una qualche rifrazione nella comprensione, nella traduzione e nell’interpretazione che inevitabilmente può generare un cambiamento di significato e di senso. Secondariamente, come difficoltà, troviamo il grado di generalizzazione: berbero, mammalucco, arabo, musulmano da noi sono usati come sinonimi, ma esprimono realtà diversissime. Anche per i musulmani l’universo è composito e multiplo. E, soprattutto, gli immigrati in Italia non sono mai cristallizzati nella cultura di appartenenza. È vero che ci sono patologie culturalmente connotate e che nelle culture collettiviste la famiglia è fondamentale, ma neppure la famiglia è un’entità rigida e immutabile.
Oltre a queste problematiche, infine, troviamo le difficoltà delle nuove generazioni, cioè di chi è nato in Italia e resta sospeso tra la cultura di appartenenza e quella del paese ospitante. Cucire l’appartenenza a due universi simbolici completamente differenti per fronteggiare l’inevitabile Shock culturale , richiede delle competenze da parte dello psicoterapeuta molto più antropologiche che cliniche.