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- 4 Dicembre 2020
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Quando i genitori invecchiano: come gestire l’inversione dei ruoli?
Dr.ssa Rosanna Manca
“L’invecchiamento è un processo normale e prevedibile che riguarda l’accrescimento e la maturazione degli organismi viventi (Barnabei, 1999).”
Possiamo integrare questa definizione con l’assunto che, parlando di realtà psicologica, l’individuo, in quanto interprete della propria storia personale, può essere concepito in relazione a una linea temporale in continuo mutamento, come una forma in movimento e in continua evoluzione. Se seguiamo questa linea di pensiero, non ha molto senso dividere la vita in “stadi di sviluppo”, come l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta e la vecchiaia; o meglio, potremmo accogliere tale stadialità come una comoda convenzione per isolare le caratteristiche proprie a ciascuna categoria e farne uno studio specifico.
Parlare di invecchiamento coincide dunque con l’isolare un periodo nella linea temporale d’evoluzione degli individui, per metterne in luce le caratteristiche comuni, ma perdendo di vista i percorsi dei singoli.
Tale premessa è indispensabile per affrontare il discorso che segue dando per scontato che si tratta di una generalizzazione utile a mettere a fuoco soltanto alcuni aspetti di un percorso complesso.
In occidente l’invecchiamento viene inteso come un processo multidimensionale a diversi livelli, che ne influenzano la visione culturale e soggettiva:
- A livello biologico come declino delle funzioni corporee (pelle rugosa, capelli grigi, etc.) e indebolimento della salute, cioè alla progressiva diminuzione delle capacità dell’organismo di rispondere agli stress ambientali e alla sua graduale maggiore vulnerabilità e suscettibilità alle malattie.
- A livello sociologico come uscita delle persone anziane dalla produttività, cioè dai ritmi e dagli incontri dati dal mondo del lavoro.
- A livello psicologico ci troviamo di fronte ad un doppio binario: chi considera questa parte della vita come momento privilegiato per affrontare un’ulteriore crescita e chi lo ritiene invece un momento di solitudine, tristezza e preparazione alla morte.
Soprattutto si associa questo processo ad un crescente bisogno di supporto man mano che l’età avanza.
- Come si sente l’anziano che invecchia e non è più autosufficiente?
La visione culturale del “vecchio” che dipende sempre più dagli altri, per assistenza pratica e bisogni psicologici, influenza notevolmente i vissuti personali dell’anziano, che spesso si sente di aver esaurito le possibilità di impegnarsi nella quotidianità in ruoli e attività proficui e gratificanti.
Tali vissuti si declinano nel singolo in base alla storia personale, all’ambiente di riferimento, all’andamento dell’invecchiamento, a seconda che divenga patologico o di successo, all’interazione più o meno positiva con le persone significative che lo circondano.
L’anziano può sentirsi scoraggiato, privo di energie fisiche e mentali, demotivato a svolgere anche minime attività di base (come la cura di sé, dell’ambiente di vita o le interazioni sociali), oppure può viversi tale periodo quale occasione positiva di crescita, calibrando le energie e le attività in base ai suoi bisogni e alle sue capacità residue. Nel primo caso si parla di invecchiamento problematico, nel secondo di invecchiamento di successo.
Tre dimensioni in particolare appaiono rilevanti nell’affrontare il periodo di vita caratterizzato dalle manifestazioni dell’invecchiamento: il corpo, il tempo e l’identità.
Il corpo è in trasformazione permanente e il suo invecchiamento costituisce probabilmente l’elemento più marcante della vecchiaia per le sofferenze e le difficoltà che causa nelle sue modificazioni. Il corpo è “visibile”, dunque elemento di riconoscimento sociale; gli anziani riportano frequentemente la sensazione di non avere un corpo adeguato, che viene percepito con disagio e inadeguatezza, cosa che può portare a deprimersi e a non intraprendere il percorso dell’integrazione di nuove modalità del rispecchiarsi. In altri casi ci si attiva curando maggiormente il proprio fisico, accogliendo opportunità sociali, culturali e spirituali e presentandosi agli altri attraverso un aspetto gradevole.
Il tempo è misura oggettiva, ma per gli esseri umani ha qualità squisitamente soggettive, percepite a livello biologico e soprattutto psicologico. La realtà del tempo del vivere orienta e dà prospettiva nel presente, nel passato e nel futuro, costituendone la durata. Le persone che stanno invecchiando sentono il tempo correre più velocemente, probabilmente in funzione del rallentamento dei loro ritmi di vita. Il vissuto del tempo psichico influenza i ricordi, la loro continua rielaborazione e la prospettiva del futuro, in un continuo dare significato alla durata della vita e alla sua fine, la morte.
L’identità è anch’essa un percorso in divenire che non si raggiunge definitivamente in età adulta o matura, ma che è in continua evoluzione in funzione delle caratteristiche individuali e del mondo socio- culturale. Nell’invecchiare, la persona si muove intorno al suo senso di identità, in un alternarsi di sicurezze e richieste di conferme. Quando la persona anziana sperimenta situazioni di insicurezza o paura di fronte alla percezione di cambiamenti in sé o nell’ambiente circostante per i quali non trova una risposta immediata ed automatica, può talvolta sentirsi sola, in assenza delle figure significative di riferimento, che spesso non sono fisicamente presenti o sono difficilmente raggiungibili, che potrebbero garantirgli vicinanza e protezione. Fondamentale è dunque la capacità di chiedere sostegno e vicinanza e la conseguente sicurezza percepita, cioè la risposta al bisogno di sentirsi protetti.
Cambiamenti nel corpo durante il tempo influenzano dunque l’identità e la percezione di dipendenza, con ricadute sostanziali nelle relazioni con le persone significative, in particolare i figli, che divengono figure di riferimento essenziali in tale processo dinamico.
- Bisogni dell’anziano: bisogni di riconoscimento e mantenimento dell’autonomia non ostante l’insorgere di dipendenza fisica (in base alle condizioni di salute) e psicologica.
Per individuare i bisogni fondamentali dell’anziano ci rifacciamo la Person Centred Care, un approccio alla demenza che viene elaborato da Tom Kitwood, che parte dall’importante concetto dell’«essere persona», che utilizziamo qui in senso trasversale e slegato dalla patologia dementigena.
Per Kitwood non può esserci Persona, in ambito sociale, svincolata dall’interazione con l’altro; l’essere persona ha senso solo in una relazione.
La persona è caratterizzata da bisogni fondamentali, presenti a tutte le età, che evidenziano la loro forza in condizioni di fragilità, definita come una riduzione delle riserve di cui l’individuo dispone, rendendolo maggiormente vulnerabile all’ambiente e meno capace di assolvere alcuni compiti della vita quotidiana.
I bisogni fondamentali della persona secondo la PCC, sono: il conforto, inteso come tenerezza, vicinanza, lenimento del dolore e della tristezza, rassicurazione dall’ansia, sentimento di sicurezza dato dalla vicinanza reciproca; l’attaccamento, quale bisogno primario di contatto, supporto, rassicurazione; l’inclusione, fondamentale in una specie sociale, in cui essere parte del gruppo è essenziale per la sopravvivenza e in cui la temporanea esclusione è una forma di grave punizione; l’essere occupati, nel senso di essere coinvolti nel processo della vita in un modo che sia personalmente significativo e che attinge dalle capacità e dai poteri di una persona; il contrario è uno stato di noia, apatia e futilità; l’identità, ovvero sapere chi si è sia a livello cognitivo che sentimentale; significa avere un senso di continuità con il passato e, quindi, una «narrazione», una storia da raccontare agli altri, implica anche la creazione di un qualche tipo di coerenza fra i ruoli e i contesti della vita attuale; in qualche misura l’identità viene conferita dagli altri, che trasmettono messaggi sottili sulla prestazione di una persona.
- Come reagisce il figlio ai mutati bisogni del genitore?
Per il figlio adulto accettare di vedere i genitori invecchiare non è semplice; i cambiamenti di cui abbiamo parlato nello sguardo verso l’anziano genitore, si ripercuotono sull’immagine e i vissuti dei figli adulti, che da protetti e accuditi che erano un tempo, divengono protettori e, spesso, accudienti, con un’inversione di ruoli che comporta una ricostruzione identitaria complessa.
L’immagine di autorità, di autonomia, di forma fisica e talvolta di successo sociale, si affievolisce. L’identità in mutamento dell’anziano, viene colta e percepita spesso in negativo, conducendo al misconoscimento dei bisogni dell’anziano e dunque ad una sua de -personalizzazione, pur con intenti gentili e ben intenzionati .
I figli risentono e in qualche modo contribuiscono alla de-personalizzazione del genitore, loro malgrado, nel momento in cui attuano modalità di esclusione riassumibili in una serie di meccanismi, non sempre consapevoli. Il sostituirsi alla persona anziana anche nelle attività che sarebbe in grado di compiere, depotenziando le sue capacità residue, per fretta o fastidio; il trattare il genitore in modo intensamente paternalistico, infantilizzandolo; il non riuscire a riconoscere la realtà soggettiva dell’esperienza, né ciò che sta provando; l’ignorarne la presenza, durante una conversazione o un’azione con altre persone; l’imposizione di scelte, non tenendo conto dei desideri del genitore; l’accusarlo di azioni o dell’incapacità di agire che dipendono dai suoi deficit o dal fraintendimento di una situazione; il deridere o il denigrare, danneggiandone l’autostima, sono alcuni esempi di tali meccanismi.
Parallelamente, il figlio si trova a dover gestire una serie di vissuti legati alla visione dei cambiamenti dell’anziano genitore e ai propri; questi possono andare dalle difficoltà di accettazione di una situazione di progressiva perdita di autonomie che esitano in una nuova identità, difficoltà che possono esitare in un rifiuto; ai vissuti di colpa nel caso in cui la dipendenza dell’anziano, le sue gravi condizioni di salute o la mancata coesione familiare, portino ad un’incapacità di prestare le cure necessarie e alla necessità di affidare lo stesso alle cure di altri (accudienti a domicilio o strutture socio sanitarie).
Tralasciamo qui, per brevità espositiva, di approfondire la tematica della donna, quale soggetto che, solitamente, si “prende cura”, in famiglia, delle situazioni di fragilità. Sottolineiamo invece come i figli, in base ai ruoli e alle relazioni instaurate all’interno della famiglia, assumono su di sé in varia misura compiti e riflessioni sull’invecchiare e il morire.
Le riflessioni inerenti il fine vita, al di là delle sensibilità individuali, si impongono ai figli quando si trovano a dover gestire il momento nel quale l’anziano arriva ad una situazione di gravità sanitaria tale da necessitare di interventi invasivi che in grandi anziani potrebbero configurarsi come accanimenti terapeutici. Accompagnare il genitore ad un fine vita sereno, spesso significa dover scegliere, mettendo in secondo piano i propri convincimenti personali, per prediligere, alla luce della storia di vita e delle idee del genitore, la rinuncia ad intervenire, il lasciare andare, con più o meno serenità.
INDICAZIONI PER GESTIRE AL MEGLIO L’INVECCHIAMENTO:
- Atteggiamenti nei confronti degli anziani
Di fronte alla complessità dell’inversione identitaria genitore/figlio di cui fin qui si è parlato, proponiamo una lettura multidimensionale che porti alla luce gli elementi di specificità di ogni sistema curante. In tale senso farsi curare può non significare solo dipendenza e disagio profondo, per la perdita di una parte della propria identità, ma anche legame e controllo sull’altro, potere sulla vita dei figli e dei nipoti, inteso come possibilità di incidere positivamente sulla realtà esterna attraverso legami positivi di interdipendenza.
D’altra parte curare può non essere sempre un onere e un fardello, ma un ponte gettato tra chi chiede e chi risponde alla richiesta, uno strumento di riconciliazione e di rafforzamento dei legami, la strada maestra per superare la barriera intergenerazionale, dove il figlio e l’anziano genitore sono compagni di viaggio.
In tale visione dare e ricevere cura possono collocarsi in una relazione di reciproca soddisfazione , dove si attuano scelte consapevoli alla luce di valori etici condivisi, come l’impegno di fronte alla sofferenza e l’esplicitazione di una solidarietà affettiva.
Fondamentale, in tale visione, è la risposta del figlio ai bisogni fondamentali del genitore (conforto, attaccamento, inclusione, occupazione, identità) dei quali abbiamo parlato, così da riconoscerlo come Persona e potenziarne le capacità residue.
Ma: cosa significa riconoscere e preservare l’essere Persona? Implica il favorire l’esercizio della scelta, l’uso delle capacità residue, l’espressione dei sentimenti e il vivere in un contesto di relazioni.
Tutto ciò può essere realizzato attraverso interazioni relazionali positive, che si concretizzano attraverso il riconoscimento della persona e della sua unicità, consultandola nelle sue preferenze, bisogni e desideri; cercandone la collaborazione attraverso il negoziare e il coinvolgere l’anziano nelle decisioni e nelle azioni che lo riguardano; utilizzando il gioco (in questo ci si può far aiutare dai nipoti!) quale esercizio di spontaneità e autoespressione, esperienza che ha valore in se stessa; nei casi di dipendenza più grave, utilizzando modalità di interazione puramente sensoriali (aromaterapia, massaggio, etc.) anche semplicemente durante i momenti di igiene quotidiana attraverso un tipo di stimolazione o di rilassamento che possono offrire contatto, rassicurazione e piacere anche in presenza di grave deterioramento cognitivo.
Pensiamo inoltre alle occasioni di festeggiamento e qui non parliamo soltanto delle occasioni speciali, ma di ogni momento in cui la vita viene vissuta come intrinsecamente gioiosa.
- Condivisione della cura con i familiari, rete dei servizi (servizi territoriali; strutture diurne o residenziali).
Quando la famiglia comincia a perdere la sua autonomia e la sua centralità nel lavoro di cura e di assistenza, attorno ad essa si istituiscono e si organizzano i servizi, con la finalità specifica di dare risposta ai bisogni rimasti insoddisfatti o soddisfatti in modo inadeguato in famiglia. Queste organizzazioni evidenziano maggiori competenze professionali e maggiori risorse e mezzi per rendere più efficace l’intervento.
Sono nati così i servizi di assistenza domiciliare (pubblici o privati), i centri sociali e i servizi diurni, i servizi residenziali, specializzati in rapporto ai livelli di gravità presentati dalle persone ricoverate: Residenze sanitarie assistenziali, comunità alloggio per autosufficienti, hospice, strutture a elevato grado di integrazione.
Oggi, il figlio o la famiglia, non più in grado di rispondere alle esigenze di assistenza o stimolazione occupazionale e cognitiva dell’anziano genitore, possono rivolgersi al sistema dei servizi per condividere tali necessità e trovare la risposta più adatta alle esigenze presentate, così da distribuire il carico emotivo e assistenziale all’esterno del domicilio.