
Sindromi da paura dell’insuccesso
Derivano in maniera comprensibile dal timore di non poter coronare con la vittoria la carica emotiva che sostiene l’agonistico confronto con altri soggetti. Comprendono una forma acuta, l’ansia pre-agonistica, ed una cronica, la sindrome del campione.
Sindrome pre-agonistica
Corrisponde alla pre-start anxiety della letteratura scientifica americana. Questa sindrome consiste in una reazione ansiosa, particolarmente intensa, nell’immediata vigilia di un qualunque evento ricco di contenuto emotivo e tale da suscitare, nell’atleta, più o meno legittime preoccupazioni di insufficienza o di incapacità.
Tale sindrome si può verificare in ogni campo dell’attività umana, ma è naturalmente più frequente nello sport, dove ogni evento si conclude con un risultato immediato.
Ogni sportivo sa che il successo è dovuto in gran parte al grado di concentrazione con cui si aspetta la gara ed alla misura in cui la gara stessa viene “sentita”. L’attesa della competizione è sempre vissuta in un tipico stato di tensione emotiva che può ben definirsi una forma attenuata d’ansia.
La sindrome pre-agonistica scatta quando questo grado di tensione supera certi livelli medi. Si tratta perciò di un disturbo quantitativo, per tale ragione la sindrome si può inquadrare come una forma di reazione psicogena ansiosa. La sintomatologia dell’ansia pre-agonistica si evidenzia su due versanti, cioè sia con disturbi psichici, sia con disturbi somatici.
Sindrome del campione
La sindrome del campione consiste in una alterazione significativa dell’identità personale dell’atleta, più o meno frequente in atleti di alto livello, specie nella fase terminale della loro carriera. Due elementi personologici sono evidenti nell’atleta che presenta la sindrome del campione, uno costitutivo e l’altro acquisito.
Una forte carica agonistica (senza la quale l’atleta non avrebbe mai potuto sfruttare le naturali disposizioni fisiche e diventare un campione). Per emergere nello sport l’atleta deve disporre di un modo particolare di gestire la sua normale aggressività: uno stile di vita improntato all’azione, fiducia nei propri mezzi sempre superiore alla valutazione delle difficoltà e dei rischi, disponibilità ad accettare ogni sfida ed ogni confronto. Questa carica agonistica è presente in origine, in tutti i giovani atleti, ma subisce un processo di ridimensionamento nel corso delle varie esperienze. Essa cioè si riduce, nei più, quando la presa di coscienza dei propri limiti suggerisce diverse modalità di comportamento, mentre si esalta negli sportivi atleticamente più dotati.
Una tensione emotiva definibile come ansia esistenziale. Il campione giunto ad un alto livello di efficienza atletica e di prestigio sociale non ha più nulla della semplicità di intenti con cui, da più giovane, cominciò a praticare sport. Le sue motivazioni hanno subito un profondo mutamento: al gioco ed all’agonismo, più o meno fini a se stessi, si sono sostituiti il lavoro, il dovere, la grinta professionale, la responsabilità, il piacere del guadagno e della notorietà, la coscienza del rischio costante di perdere il ruolo e la stima, la consapevolezza della brevità della carriera (con la conseguente frenesia di collezionare in fretta e comunque quanti più vantaggi e successi possibile).
La situazione sportiva, così, da ludica e ricreativa, è diventata impegnativa ed ansiogena. Insieme con la gloria, il campione incontra vari fattori traumatizzanti:
Disadattamento per un benessere e un prestigio troppo rapidamente raggiunti, per una responsabilità il cui peso lo trova ancora immaturo, per un cambiamento eccessivamente brusco di abitudini e di ambiente;
Isolamento affettivo per la limitazione della sua libertà d’azione e per l’allontanamento dal vecchio mondo di amici e di familiari;
Disorientamento per il contrasto spesso acuto tra l’ipervalutazione dei tifosi, che lo idolatrano come un semi-dio, e l’atteggiamento dei dirigenti, che al contrario non assumono atteggiamenti di riconoscimento di ruolo.
Insicurezza per le oscillazioni continue dell’autostima e dell’eterostima in rapporto ai risultati atletici.
La sintomatologia della sindrome da campione è costituita da comportamenti riferibili ai seguenti fattori:
Eccessi di aggressività: l’ipertrofia della propria identità di ruolo, generata dal conseguente divismo, determina disistima e disprezzo per gli altri. Ogni evento negativo viene interpretato in termini di sfortuna o di persecuzione e malizia altrui. Ogni ulteriore successo è vissuto invece con atteggiamenti istrionici ed eccessivamente euforici. Tutto ciò comporta atteggiamenti sempre più rivendicativi e di sfida.
Eccessi d’ansia: il bisogno di conservare ad ogni costo il ruolo di prestigio impone al campione la ricerca di giustificazioni ogni volta che una prestazione insufficiente rischia di mettere in dubbio il suo valore, per lui indiscusso e indiscutibile. Poiché ogni gara riproduce una situazione da esame sempre temuta, il campione si concede varie fughe e distrazioni dagli allenamenti, assumendo un comportamento evitante. L’insicurezza richiede delle misure di difesa, che lo portano alla costante ricerca di figure guida, di affetto e protezione.
Eccessi di compensi: il fenomeno più evidente è il doping, il quale è il mezzo apparentemente più semplice per sostituire (o per illudersi di sostituire) un’energia ridotta e non più sicura con strumenti farmacologici illeciti che agiscono più sull’autostima che sull’efficienza atletica.